Conferenza stampa: La Pazza Gioia

A Roma per presentare in anteprima mondiale il suo ultimo film La pazza gioia, che arriverà in sala il 17 maggio prossimo dopo esser passato a Cannes nella importante vetrina della Quinzaine des Réalisateurs, Paolo Virzì ha incontrato la stampa italiana per parlare di questo suo ultimo lavoro, un dramma dolceamaro che indaga il sistema complesso delle relazioni e delle emozioni, analizzate attraverso quel labile confine che distingue normalità (presunta) e follia
Assieme a lui, per rispondere alle domande dei numerosi giornalisti intervenuti presso il cinema Adriano di Roma, la co-sceneggiatrice Francesca Archibugi e le splendide protagoniste Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti.

In apertura di conferenza Virzì ha dichiarato cosa si prova a presenziare all’interno del programma dell’importante kermesse francese: “Il fatto di andare a Cannes non era stato nemmeno preventivato tant’è che il film doveva uscire prima, ma la notizia è stata una sorpresa, ed è stata ovviamente per noi tutti una gioia tale che abbiamo deciso di posticipare l’uscita del film pur di presenziare al Festival; senza menzionare il fatto che Cannes rappresenta una vera calamita per l’ego di ogni regista. Inoltre, la sezione del Quinzaine mi ha sempre molto interessato e quest’anno ci sono i colleghi Marco Bellocchio e Claudio Giovannesi e nomi davvero importanti come Pablo Larraín, quindi siamo ben felici di essere stati inseriti in cartellone”.

Ma qual è stata la fonte di ispirazione, il punto di partenza per un film che parla di psicopatologia, di malattia mentale, di equilibri precari?
A rispondere è sempre lo stesso Virzì: “Penso che la psicopatologia sia un po’ in tutte le nostre storie, e non solo quelle tratte dal cinema o dalla letteratura. Se ci guardiamo attorno sono davvero tante le vicende da cui possiamo trarre ispirazione in questo senso. In particolare, però, l’idea del film mi è venuta sul set de Il capitale umano (il film precedente n.d.r.), quando chiesi a Valeria di fare una scena in cui invece di recarsi verso il buffet dal quale il marito la chiamava, scappava via verso il dirupo, togliendosi le scarpe. Quella scena non è stata mai utilizzata, ma è stato lì che ho visto e immaginato per la prima volta l’inizio della storia di Beatrice e della possibile evoluzione del suo personaggio. E poi, sempre su quello stesso set ho avuto modo di vedere Micaela e Valeria insieme. Le ho viste mano nella mano in un’occasione particolare, con Micaela col pancione che seguiva Valeria in un misto di fiducia e sgomento, e lì ho capito che insieme erano due creature stupende, che avrebbero duettato meravigliosamente, e che potevano dare vita a una storia bellissima”.

E invece Francesca (Archibugi) come è stato lavorare a questa sceneggiatura insieme a Virzì, che in un’intervista ti ha perfino definita un po’ la Lucy (dei Peanuts) della situazione, sempre pronta col tuo banchetto a dare consulenze per 5 cent?
Ride. “Ahah, non sapevo che Paolo avesse detto queste cose. Come ha già detto bene lui, con il quale siamo grandi amici da tanto tempo, è stato un piacere lavorare su questi personaggi così belli, che sono venuti fuori poco alla volta. Bisogna poi dire che lavorare a una sceneggiatura avendo gli attori fin dall’inizio è sempre molto stimolante perché aiuta molto il lavoro di scrittura e rende tutto il processo più naturale”.

Anche le due protagoniste Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti hanno poi detto la loro su questa esperienza insieme.
Valeria Bruni Tedeschi: “È stato bello e facile perché non è da tutti i giorni leggere sceneggiature che racchiudono questa complessità ma anche questa chiarezza. Ho trovato poi nel copione anche molto del bellissimo personaggio della Blanche Dubois di Un tram che si chiama Desiderio, e all’inizio avevo paura che non sarei stata all’altezza. Poi invece è stato facile, in quanto ho solo dovuto chiedere al mio super-io (che di norma è sempre con me, mi controlla) di andare in vacanza e da quel momento in poi è stata un’esperienza liberatoria”.
Micaela Ramazzotti: “Beh questo film in fondo parla di una pazza gioia, un’ euforia irragionevole, quindi 
quello che abbiamo fatto io e Valeria coi nostri personaggi è stato camminare assieme lungo questo percorso, prenderci per mano, pur provenendo da due mondi assai distanti. La scrittura di Paolo e Francesca insieme poi è pura vitamina, un perfetto concentrato di idee e quindi è stato molto facile entrare nei panni di questa madre fragile che in fondo vuole solo chiedere scusa a suo figlio”.

Un’opera emozionale ed emozionante, che racchiude molti punti di contatto con La prima cosa bella del 2010, sempre di Virzì. Su questo punto il regista toscano ha dichiarato: “Mi piace pensare alla mia filmografia come a un macrofilm. In fondo i territori entro i quali mi muovo sono sempre gli stessi, cambia magari lo sguardo, la prospettiva ma in fondo le mie opere hanno sempre in comune un mix di gioia e dolore”.

Ma come definisce Virzì questo suo film in termini di genere?
“Per me La pazza gioia è un film realistico con momenti da commedia avventurosa e trip psichedelico. C’è poi anche un lieve tocco di fiaba in una scena in particolare. Il disagio mentale è un argomento che fa paura, ed è spesso considerato tabù, motivo per cui le persone malate vengono quasi sempre allontanate o recluse. Io invece penso che questa sia una tematica che ci riguarda da vicino, e che in fondo siamo tutti molto più simili di quello che pensiamo, fatto dimostrato anche da come alcune pazienti che avevamo sul set si sono mischiate perfettamente a tutti gli altri. Credo invece che dovremmo avere davvero paura di chi ha paura della pazzia”.

È stato difficile sviluppare questi due personaggi femminili?
Paolo Virzì: “I personaggi femminili mi hanno sempre interessato, forse anche perché da piccolo ho letto Piccole donne. E poi se ci pensiamo sia nella letteratura sia nel cinema tante donne sono state rappresentate meravigliosamente da uomini, basti pensare ai film di Woody Allen, o a Io la conoscevo bene di Pietrangeli, tanto per fare un paio di esempi. Soprattutto mi interessa ritrarre le donne non quando sono eroine virtuose, ma quando sono donne sbagliate, stigmatizzate come poco di buono. E infatti ho subito amato le meravigliose creature di questa storia, protagoniste belle e buffe”.

Nel film c’è un omaggio diretto a Thelma & Louise?
Paolo Virzì: “In realtà non ci avevo mai pensato, e inoltre di quel film ricordo solo il bellissimo finale. Invece, mi sento senza’altro in debito con Qualcuno volò sul nido del cuculo e con Un tram che si chiama Desiderio. D’altronde si sa che il più delle volte i film prendono vita indipendentemente dai loro artefici e quindi apprendo e apprezzo di questo punto di contatto che è emerso nel mio film con Thelma & Louise”.

Insomma un film che parla di confine, come ad esempio quello che c’è tra comicità, commozione e follia.
Valeria Bruni Tedeschi si è espressa su questo punto con riflessioni molto personali: “Un attore non cerca di far ridere o piangere. Il tragicomico è già nella sceneggiatura. Durante le riprese, quando la misura non era giusta ce ne accorgevamo subito con Paolo. Io nella mia vita ho fatto molta terapia, e oramai è come se fossi affezionata alle sale d’attesa a quegli ambienti, sono come una seconda casa per me. Quindi posso dire che conosco senza’altro la follia. Eppure in fondo non mi sento pazza, ma neanche non pazza. Ma sento di avere molte affinità con le persone definite pazze. Come ogni persona che cerca di integrarsi alla società io gestisco tutto con ipocrisia e auto-controllo ma dentro, in realtà, sono disperata come molte di loro”.