69ma edizione della Berlinale: Saviano, Braucci e Giovannesi si aggiudicano l’Orso d’Argento

Il Festival Internazionale del Cinema di Berlino - che vede al suo ultimo anno di direzione artistica Dieter Kosslick, in procinto di lasciare il testimone all’italiano Carlo Chatrian - si è concluso, e i giurati, capitanati da Juliette Binoche, hanno assegnato i premi:

Orso d’Oro per il miglior film a Synonymes, del regista israeliano Nadav Lapid
Orso d’Argento Gran Premio della Giuria a Grâce à Dieux, di François Ozon
Orso d’Argento per la miglior regia ad Angela Schanelec per I Was at Home, But…
Orso d’Argento per la Migliore Attrice a Yong Mei per So Long, My Son di Wang Xiaoshuai
Orso d’Argento per il Miglior Attore a Wang Jinchun per So Long, My Son di Wang Xiaoshuai
Orso d’Argento per la Migliore Sceneggiatura a Roberto Saviano, Maurizio Braucci e Claudio Giovannesi per La paranza dei bambini
Orso d’Argento per il Miglior Contributo Tecnico a Rasmus Videbæk per la fotografia di Out Sealing Horses, di Hans Petter Moland
Premio per la Miglior Opera Prima a Oray, di Mehmet Akif Büyükatalay
Premio Alfred Bauer per l’innovazione a System Crasher, della tedesca Nora Fingscheidt

Dunque, dopo l’Orso d’Oro ai fratelli Taviani per Cesare deve morire (2012) e a Gianfranco Rosi per Fuocoammare (2016), è arrivato anche l’Orso d’Argento per la Miglior Sceneggiatura a Saviano, Braucci e Giovannesi – quest’ultimo qui anche in veste di regista – per La paranza dei bambini, lungometraggio tratto dall’omonimo libro di Saviano. Il film narra le vicende di un gruppo di adolescenti del rione Sanità di Napoli che si trova a occupare un vuoto di potere nella malavita locale. Che l’unica opera italiana in concorso avesse colpito positivamente il pubblico del Berlinale Palast lo si era capito fin da subito, ma si sa, a volte le giurie fanno strani scherzi: fortunatamente, non in questa occasione! Roberto Saviano ha dedicato la vittoria alle Ong: "Dedico questo premio alle ONG che salvano vite nel Mediterraneo e ai maestri di strada che a Napoli salvano vite nei quartieri più difficili", e Claudio Giovannesi ha aggiunto: "Vogliamo dedicare questo premio al nostro Paese nella speranza che l'arte, la cultura e la formazione tornino ad essere una priorità per l'Italia".

Ma, al di là delle belle notizie per il nostro Cinema, a detta dei molti critici e dei tanti spettatori paganti parrebbe che questa 69ma edizione delle Berlinale sia trascorsa un po’ sottotono… è stato davvero così? Beh, a leggere i numeri riguardanti la kermesse tedesca (quasi 20.000 accreditati provenienti da oltre cento Paesi e più di 330.000 biglietti staccati) tutto sembrerebbe essere andato a gonfie vele. Già, ma quelle cifre che tanto piacciono agli organizzatori non tengono conto né della qualità delle opere selezionate - 400 film proiettati, di cui 17 in concorso ufficiale, divisi in cinque sezioni – né tantomeno della sparuta presenza sul red carpet sia delle celebrities internazionali che dei filmmakers di richiamo. Ora, sappiamo che i cinefili doc apprezzano di gran lunga la visione di una pellicola di alto livello rispetto alla smania di alcuni fan di farsi un selfie con il divo/a del momento, ma qui, e spiace dirlo, tanto i film quanto il glamour hanno lasciato molto a desiderare. Certo, per quanto concerne la ‘sezione’ lustrini e paillettes bisogna andare a Venezia, mentre per il bollino di qualità è obbligatorio fare un salto a Cannes, eppure, il Festival di Berlino ha avuto da sempre un fascino particolare, e la sua tendenza a proporre lungometraggi che invoglino a lunghe conversazioni dopo cena è rimasta tuttora intatta: sarà forse perché è da sempre ritenuto uno dei festival cinematografici più politici del mondo, nato proprio da un chiaro impulso politico?

Nel 1951, anno in cui si svolse la prima edizione della Berlinale, ciò che più preoccupava gli abitanti dell’intero pianeta era la paura di un nuovo conflitto bellico che avrebbe potuto scatenare la Terza Guerra Mondiale, e nella Berlino divisa di allora, luogo molto particolare in cui convivevano forzatamente due visioni antagoniste della società, sarebbe bastata una sola scintilla per far divampare un incendio inarrestabile. Fu così che ancora una volta, per non rischiare di accendere la miccia, l'arte fu usata come veicolo per la diffusione di un'ideologia. Sì, perché la funzione primaria della Berlinale fu quella di mostrare film che raccontassero quanto fosse piacevole vivere in una comunità fondata sui valori della democrazia. Questa iniziativa, ad alto contenuto politico, venne ideata da un funzionario americano di stanza a Berlino, Oscar Martay, che nel 1950 trovò l’approvazione di alcuni senatori tedeschi, i quali, ben contenti di dimostrare ai loro avversari russi i benefici dell’abitare in un presunto Paese libero, decisero di iniziare in grande stile quel progetto.

Grazie a un notevole budget finanziario, ai monumentali poster affissi sui muri della città, alle numerose persone assunte e alla lungimirante scelta di inaugurare il festival con la proiezione di Rebecca – La prima moglie, capolavoro di Alfred Hitchcok del 1940 mai uscito in Germania, la Berlinale ottenne un successo strepitoso. Ma a cosa, o meglio a chi, si deve questo successo ancora oggi immutato? Alla partecipazione della gente comune: uomini e donne che, nonostante la povertà e la distruzione del dopoguerra, attendevano diligentemente il loro turno per entrare in sala o aspettavano con ansia di intravedere per le vie di Berlino gli idoli dell’epoca, quali Jayne Mansfield, Errol Flynn o Cary Grant.

I diritti umani, e le sofferenze causate da dittature, razzismo, xenofobia, degrado e violenza, pedofilia e machismo sono soltanto alcuni dei temi che di anno in anno vengono trattati al Festival di Berlino, e che, grazie all'accesso del pubblico alle proiezioni, lo inducono a una sorta di riflessione collettiva nei confronti di problematiche universali. Ed è in quest’ottica universale che rientra il meritato premio assegnato a La paranza dei bambini - venduto all’estero con il titolo Piranhas - o a quello vinto da Ozon per Grâce à Dieux (film su una storia di abusi e pedofilia all’interno della diocesi di Lione), perché l’orrore dell’infanzia negata non è circoscritto a una Nazione, ma all’intero pianeta Terra.

Cala il sipario e le luci si spengono. Oggi è una bella serata, una di quelle da trascorrere con gli amici, magari cenando in qualche localino nei pressi della Debis Haus progettata da Renzo Piano, conversando amabilmente di cinema...

(Photo by Ali Ghandtschi, Internationale Filmfestspiele Berlin/2019)