Checcofonia: Zalone e Sokurov, diversamente utili.

“Prologo del direttore.

Non ho chiesto ai redattori di fare un articolo sul, cosiddetto, evento di questo inizio anno, perché credo che i lettori ne abbiano abbastanza di riviste che cavalcano l’onda del successo di Zalone, cercando consensi tra i detrattori, da una parte, o tra i fan, dall’altra, supponendo analisi sociologiche e congetturando di straordinarie riprese del Cinema Italiano, il che mi sembra veramente troppo pretenzioso per come io intendo parlare della settima arte. Ma, quando il nostro “analista”, Daniele Sesti, mi ha proposto un confronto tra Zalone e Sokurov, ho subito immaginato un intervista doppia in puro stile “Le Iene” e ho pensato: potrebbe essere interessante, vediamo che ne esce! Ed eccolo qua: il risultato che speravo. Un’analisi lucida, senza fanatismi o pretese che, a prescindere dai protagonisti, sin dalla prima riga, racchiude quello che dovrebbe essere il senso del Cinema: intrattenimento, inteso come passare del tempo piacevolmente e che, per alcuni può essere in maniera leggera e rilassante, per altri riflessiva e stimolante. Il senso di questo concetto è l’obiettivo della linea editoriale di MovieTrainer e, io ritengo sia auspicato nell’ultima frase. Non mi rimane altro da dire che: gustatevelo fino in fondo! Monica Cabras”

Premetto.

Non sono andato a vedere Quo Vado e sicuramente non vi andrò nei prossimi giorni. Probabilmente, lo vedrò, spaparanzato su un divano  al primo passaggio televisivo. Anche se, aleggia in me, la sensazione di averlo già visto e di saperne (a torto, probabilmente) già molto, un deja vu alimentato dai reiterati post che hanno invaso i social di ogni ordine, stato  e religione.

Sono andato, invece, a vedere Francofonia, in un tardo pomeriggio natalizio, in una sala romana, sorprendentemente gremita di spettatori che credevo invece storditi dai postumi post prandiali dalle ingenti libagioni natalizie.

Trovo la querelle sorta intorno all’enorme successo al botteghino del film di Zalone abbastanza stucchevole quando non noiosa e artificiosa. A parte la scontata riflessione che quando un film incassa al botteghino, (trattandosi, non dimentichiamolo mai, la produzione di un‘opera cinematografica, anche e soprattutto, la messa in atto di un’iniziativa imprenditoriale), significa che ricchezza ha prodotto ricchezza, con buona pace di tutti coloro che, economicamente e spiritualmente, hanno investito nell’intrapresa, quello che colpisce di più, in questa vicenda così squisitamente italiana, è lo sforzo di critici – più o meno accreditati – ma anche di “semplici” spettatori- di trovare, necessariamente, una giustificazione, artistica o, che Iddio li perdoni, sociale al successo del film di Zalone. I primi, si sforzano – impresa inane – di individuare qualità artistiche e di pregio in un film che, mi sembra di capire (se rispetta i canoni stilistici delle precedenti opere del comico pugliese), fa della battuta, del gioco di parole, del calembour , la sua cifra innervante. I secondi, si profondono invece in patetici sforzi per  individuare le ragioni socio politiche alla base del successo del film: sono tempi cupi, la “gente” ha bisogno di divertimento e divagazione, Zalone dà loro quello che il popolo agogna  in tempi di crisi, questo è il leitmotiv di molti commentatori, senza tralasciare le prese di posizione di politici che cavalcando l’onda Zalone, intravedono nella sua opera il sorgere di una nuova epoca, dalle magnifiche sorti e progressive…

Ciò detto, umilmente (e credo sia aggettivo che in un certo qual modo si possa accostare alla persona/personaggio Zalone), collocherei “Quo Vado” nel nobile novero dei film comici, nobile come può esserlo un ruscello limpido o una pietra grezza, perché non accampa pretese, se non quella di farci ridere, magari con cenni di critica di costume, senza necessariamente sottotesti o obliqui messaggi socio culturali. E per questo, utile, perché ci fa apprezzare uno degli aspetti determinanti del Cinema, quello del puro intrattenimento, uno dei fini precipui, sin dagli albori, di questa forma artistica. E, in questo alveo, pur se apparentemente appartenente ad un’altra galassia, si pone, a parer mio, “Francofonia” del regista russo Aleksandr Sokurov. Film che celebra l’amore per l’arte con la A maiuscola, quella dei grandi artisti le cui opere sono raccolte nei Musei del mondo, visti come Arche della Sapienza e della Cultura e che, come tali, vanno difesi e tutelati, anche a costo di dolorosi sacrifici personali.

Il tutto raccontato dal regista russo con tecniche d’avanguardia (il cinema è oggi la forma d’arte dove probabilmente  maggiormente la sperimentazione trova fertile terreno) nelle quali, l’apparente destrutturazione della forma narrativa, trova poi meraviglioso compimento alla fine del circolo virtuoso messo in essere.

Opera lontana anni luce, come ovvio, da quella di Zalone, e che, certo, non ha il compito di farci divertire, ma, quello altrettanto utile di farci pensare.

Se Zalone è aria rinfrescante per il cervello, Sokurov è zucchero per la mente.

Ed allora, sarebbe bello un giorno, in una multisala ideale, passare la mattina a ragionare sulla storia del Louvre, ed il pomeriggio, magari sgranocchiando pop-corn, ridere a crepapelle per una gag del Checco nazionale.