Cinelatino: appunti da Toulouse - parte terza

Tra la maggioranza di  film di giovani registi in concorso a CINELATINO 30es rencontres de Toulouse,  spiccano quelli di due registi affermati: il cileno Gonzalo Justiniano al suo decimo film e l’argentina Lucrecia Martel al suo quarto. Con Cabros de mierda (Ragazzacci), il sessantaduenne Justiniano torna al 1983, anno della repressione del regime di Pinochet, e torna al quartiere di La Victoria dove all’epoca aveva girato un documentario. E realizza un film di impegno politico sui crimini del regime ma anche un film di spettacolo imperniato su un paio di famiglie e su donne che preparano pasti per i diseredati. Le decisioni importanti le prende Gladys, giovane donna di 32 anni, aitante e coraggiosa, figlia di Gladys, e madre di Gladys. Chiamata la petite française, Gladys milita contro la dittatura e si cura anche del nipotino Vladi il cui padre è alla macchia per sfuggire all’arresto. In attesa di quattro evangelisti statunitensi che dovrebbero alloggiare nella casa, ne arriva uno solo, Samuel Thompson, (Daniel Contesse), ventiquattrenne deciso a portare la parola del signore. Il giovane è testimone delle miserie che assillano il popolo, ma resta anche affascinato dalla bellezza di Gladys, donna libera, disinvolta e provocante. Quando la polizia scopre tracce della collaborazione di Gladys nell’affissione di manifesti contro Pinochet, irrompe nella casa e sequestra la donna e tutti i maschi adulti, incluso il predicatore. Ci vorrà l’intervento dell’ambasciata Usa per liberarlo dopo essere stato maltrattato insieme con gli altri detenuti politici. Per Gladys, invece, sarà la fine. Interpretato con brio e carattere da Nathalia Aragonese, il film dura due ore e sulla scia del neorealismo dice cose importanti senza tralasciare vicende individuali e momenti di allegria. Al centro del film il microcosmo di quartiere operaio attraverso il quale il regista lascia filtrare sotterfugi e paure provocati dalla dittatura.

  Non molto diverso l’approccio di Lucretia Martel, che pur ispirandosi al romanzo del 1956 di Antonio Di Benedetto ambientato nell’America latina alla fine del XVIII secolo, con Zama dirige un film che parla dell’esercizio del potere. Protagonista Diego de Zama, magistrato al servizio del re di Spagna, bistrattato dai più e in pieno calo d’autorità. In attesa di una mossa del governatore che gli permetta di trasferirsi vive alla giornata, ormai oggetto di scherno da parte di conoscenti e amanti. Ha una relazione anche con la moglie del governatore, ma non è l’unico a godere delle grazie di quella donna scaltra e potente. Spera anche che interceda presso il marito per agevolare il suo trasferimento, ma la signora pensa ad altro. Alla fine, quando il governatore decide di toglierselo dai piedi, il magistrato parte insieme con un piccolo manipolo di soldati e di contadini attraverso un territorio controllato dai nativi che li catturano e li depredano. Nuovamente liberi superano la boscaglia infestata di insetti e raggiungono il mare. E qui ha inizio l’epilogo dell’infausta e disastrata vicenda del magistrato perché tra i contadini al seguito si cela un famoso criminale da lui condannato che lo cattura e mette in catene anche il capitano prendendo il comando dell’ormai ridotto manipolo.  Prodotto da otto paesi: Argentina, Brasile, Spagna, Francia, Messico, Usa, Olanda e Portogallo, e interpretato da Daniel Giménez Cacho e Lola Dueñas, Zama dura circa due ore e illustra su grande schermo interni d’epoca e vasti panorami tentando di catturare lo spirito del tempo. Si tratta infatti di un quadro d’epoca che descrive ozi quotidiani, dai fanghi delle donne in riva al mare a siparietti in interni con futili litigi e sotterfugi amorosi, ma incentrato sulla figura del corregidor, ormai zimbello di corte e non solo. Da notare l’eccellente interpretazione del messicano Daniel Giménez Cacho e quella sottile e sorridente della spagnola Lola Dueñas.  

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