Karlovy Vary International Film Festival 2019: giorno 2

Altre due anteprime mondiali, e di buon livello, in concorso al 54° Karlovy Vary International Film Festival, lo slovacco Nech je svetlo Let There Be Light (Facciamo chiarezza) del quarantacinquenne Marko Škop, e Lara del quarantenne tedesco Jan-Ole Gerster, ambedue i registi al loro secondo lungometraggio. Autore di un paio di documentari premiati e nel 2015 del film Eva Novà, Marko Škop ha scritto e diretto la vicenda di un carpentiere quarantenne, Milan, emigrato in Germania da cinque anni, il quale torna al suo villaggio in Slovacchia per le feste natalizie. Lo attendono la moglie e tre figli che inonda di regali. Ma non tutto va bene in famiglia. L’adolescente Adam, il maggiore dei suoi figli, fa parte di una presunta organizzazione paramilitare dove un suo coetaneo si è appena suicidato. I genitori della vittima non credono che si sia tolto la vita, ma nel villaggio, incluso il parroco, si dà per scontato l’incidente.

   Milan è una persona mite. E non dà molto peso alla vicenda, ma quando la moglie gli confida la difficoltà di farsi rispettare dal figlio, che esce quando vuole e che non racconta niente di sé, si insospettisce, e quando il ragazzo si appropria di una pistola della sua collezione, lo mette alle strette. Il morto è stato vittima di un atto di bullismo, e ora lui si è impossessato dell’arma per mostrare di essere forte nel gruppo. Un’azione intimidatoria di Milan contro il capo dell’organizzazione provoca come reazione la devastazione della cucina mentre la famiglia assiste alla messa. Si potrebbe andare dalla polizia, ma il figlio suggerisce di rivolgersi al parroco. E ottengono parole di conforto e di rassicurazione, però dietro la cordialità e la diplomazia del prelato è evidente il suo sostegno al gruppo. Non resta che la polizia, ma da che parte starà? Il film mette a nudo difficoltà e pericoli per i figli cresciuti in assenza del padre, e denuncia il formarsi di gruppi nazionalisti che lavorano sul territorio. Incisivo Milan Ondrik nel ruolo del padre in un film non eccezionale, ma che riesce a mettere in evidenza i mille ostacoli che impediscono l’accettazione di fatti reali.

   Lara, ex funzionaria statale, compie sessant’anni, e due agenti suonano alla porta per chiederle di essere testimone della perquisizione da effettuare nell’appartamento del suo vicino. Strana maniera di festeggiare l’anniversario, ma per rifarsi ritira una forte somma in banca, si compra un vestito, e porta una torta alla madre che abita appena fuori Berlino. Dall’accoglienza è chiaro che i rapporti familiari non sono dei migliori. Con la nonna vive suo figlio, che lei non vede da tempo e che quella sera ha in cartellone un grande concerto. Il pianista arriva proprio mentre lei è in visita e lo scontro, sebbene pacato, è evidente. Si lasciano e lei si reca al botteghino del teatro per comprare entrate da distribuire a ex colleghi e conoscenti. Dal comportamento e dagli incontri si capisce che è stata forte e decisa come dirigente, che si è lasciata a brutto muso dal marito, e che il figlio si sia sottratto alla sua tutela. Poi dall’incontro con un vecchio insegnante del conservatorio veniamo a sapere che lei stessa aveva studiato pianoforte e che aveva interrotto gli studi perché il professore si era mostrato scettico nei suoi confronti. Tuttavia era intervenuta spesso sulla formazione del figlio che studiava con lo stesso insegnante. E proprio la sua smania di perfezionismo e la sua sincerità l’avevano isolata. Oggi, però, l’attende una grande serata, e per quanto in disaccordo sul programma, per quanto scorbutica e velatamente isterica, vuole collaborare al successo del figlio.

   Secondo film dopo il successo di Oh Boy del 2012, Lara dura 93 minuti, stessa durata del film slovacco, e si avvale della magistrale interpretazione di Corinna Harfouch che non esce mai di scena. In effetti la cinepresa la segue dall’inizio alla fine durante le sue nervose e rapide deambulazioni, e durante gli incontri che mettono a nudo la sua psicologia, e in un finale che svela il grande talento sprecato per non aver creduto nelle proprie potenzialità.      

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