Karlovy Vary International Film Festival: giorno 2

La Francia in concorso al 52nd Karlovy Vary International Film Festival con l’esordio del quarantenne Nicolas Silhol, ex studente della Femis Film School di Parigi. Autore di tre corti: il secondo, Tous les enfants s’appellent Dominique, Gran Premio a Montreal, e il terzo L’amour propre selezionato dalla Settimana della critica di Cannes. Figlio di un insegnante alla Business School, Nicolas ha girato un film di 95 minuti sul comportamento delle grandi multinazionali, facendo emergere il lato oscuro del brillante mondo dei manager. La protagonista di Corporate (Corporativo) e’ Emilie, giovane e ambiziosa manager di una multinazionale. Efficace e devota esecutrice delle direttive del capo, subisce un colpo quando uno dei suoi dipendenti si lancia dalla finestra. Riflettendo sul suo operato, Emilie si rende conto di svolgere in “maniera pulita” il lavoro sporco dell’azienda. Le era stato chiesto di allontanare circa il dieci per cento del personale senza ricorrere a licenziamenti. In un momento di crisi aveva detto al suicida che non avevano piu’ bisogno di lui. In realta’ era stato il boss a trattare malamente l’impiegato. E la cosa si sarebbe potuta chiudere all’interno se non ci fosse stata l’indagine di una ispettrice del lavoro che provoca uno scarica barili di responsabilita’. Quando Emilie si rende conto che a cominciare dal boss, tutti tentano di tirarsene fuori facendo cadere su di lei le responsabilita’, la donna reagisce, decisa a vendere cara la pelle. Girato quasi come un thriller, tenendo lo spettatore sospeso sullo sviluppo della situazione, il film mostra anche l’interno familiare di Emilie, madre di un bambino e sposata con un idealista alla ricerca di un lavoro, e mostra ispezioni sul lavoro che da noi farebbero chiudere meta’ dei cantieri. Emilie e’ Celine Sallette, il boss Lambert Wilson.

Molto atteso il film georgiano in concorso, Khibula di Geroge Ovashvili che qui nel 2014 aveva vinto il Globo di Cristallo col film Corn Island. Prodotto da Georgia, Francia e Germania e’ il film che chiude la trilogia sulla Georgia degli Anni ’90 dopo The other Bank e Corn Island. Va detto subito che non contiene le sorprese che hanno fatto apprezzare il film del 2014, e va detto anche che la scelta del tema non lasciava molta liberta’ di interpretazioni. Ovashvili prende spunto dal colpo di stato dei militari che allora esautoro’ il presidente della Georgia democraticamente eletto, Zviad Gamsachurdia, e mostra la sua volonta’ di restare nel paese sebbene tutti coloro che lo sostengono gli consiglino di rifugiarsi all’estero. Non potendosi mostrare nelle citta’, l’unica soluzione sono le montagne del Caucaso dove alcuni fedeli armati gli fanno da scorta. E il film, 98 minuti, descrive le peripezie dell’anziano presidente acccompagnato da vecchi soldati attraverso fiumi e montagne con soste in casolari abbandonati o in case di simpatizzanti. Ricorda, anche se il paragone e’ azzardato, O Thiasos di Theo Angelopoulos, questo gruppo di anziani che attraversano tutto il paese alla ricerca della liberta’ e del ripristino della democrazia, e che andranno incontro alla propria fine. Non si e’ mai saputo se il presidente si sia suicidato o se sia stato ucciso. Ovashvili ha descritto un quadro malinconico della fine di un ideale di liberta’ e di un uomo leale servendosi anche di cambi di stagione che mutano i colori dei campi e gli umori degli uomini, e di paesaggi naturali che sovrastano qualsiasi momento storico. L’attore protagonista, Hossein Mahjoob.

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