Karlovy Vary International Film Festival: giorno 3

Ha quarant’anni l’attore turco Onur Saylak che esordisce come regista in concorso al 52nd Karlovy Vary International Film Festival col film Daha (Piu’). Basato sul bestseller dello stesso titolo del romanziere Hakan Gunday, risulta un film duro e senza concessioni sul traffico di emigranti che dalla Siria tentano di raggiungere le coste dell’Egeo, e sull’educazione di un adolescente che ama le scienze e che vorrebbe frequentare un liceo di Ankara, ma e’ costretto dal padre a restare nel paese dove esercita l’attivita’ di comerciante di frutta e verdure, realizzando pero’ ingenti profitti trasportando e nascondendo clandestini in attesa di un imbarco.
Lungo 115 minuti il regista descrive il vessatorio rapporto padre figlio, tra Ahad, uomo di mezz‘eta’, violento e disumano, e Gaza, figlio quattordicenne, che a scuola ha ottenuto buoni voti per poter frequentare il liceo, ma il padre tiene presso di se’ per farsi aiutare nel trasporto dei clandestini. Isolati dal paese, i due hanno un casolare con una grande cantina dove nascondono gli emigranti anche per molti giorni. Li tengono in condizioni bestiali, e spesso il padre violenta giovani donne, e a volte ci scappa il morto. Gaza non e’ d’accordo, si ribella e viene bastonato. Ma anche il padre dipende da due loschi trafficanti, e quando vengono a sapere delle morte di un ragazzo e quando Ahad insiste per far imbarcare i clandestini col mare in tempesta gli danno una lezione. La vicenda si conclude nel peggiore dei modi. Quando Gaza assume la gestione del trasporto dei profughi, e potrebbe decidere di lasciare tutto e andare a studiare a Ankara, sceglie invece di restare e arricchirsi sulla pelle degli emigranti.
“Viviamo in un’epoca nella quale la pubblicita’ dichiara che gli emigranti devono essere accettati dal mondo occidentale”, dichiara il regista, “raccontando che sono molto buoni, ed esaltando le loro professioni e la loro innocenza. Sfortunatamente, ai nostri giorni, non e’ sufficiente essere persone intrappolate in situazioni difficili perche’ qualcuno le aiuti”. Hayat Van Eck e Ahmet Mumtaz Taylan sono i protagonisti di Daha, sicuramente un buon debutto e anche un film, per quanto violento, che potrebbe essere adoperato come materiale didattico.

Di frontiere si parla anche nel film Ciara (La linea) dello slovacco Peter Bebjak, (1970), diplomato alla Academy of Performing Arts di Bratislava. Quarto film dopo Apricot Island (2011), e Evil (2012) e The Cleaner (2015), ambedue premiati in festival internazionali, affronta il tema del contrabbando al confine tra l’Ucraina e la Slovacchia alla vigilia dell’entrata di quest’ultima nella zona Schengen. Va detto subito che il film assume i caratteri di un thriller nel quale si mette a fuoco la presa di coscienza di un trafficante di sigarette che le nuove leggi mettono fuori gioco. Adam Krajnak potrebbe rimanere nel giro, ma dovrebbe attenersi alle regole disumane dettate da una potente banda ucraina e dal corrotto capo della polizia, arricchitosi con le forti tangenti imposte ai trafficanti. Pur essendo stato un esecutore deciso e spietato, Adam decide di trovarsi un’attivita’ tranquilla e di vivere la famiglia ora che la figlia grande sta per sposarsi e deve occuparsi delle due sorelline. Costretto per uscire dal giro a guidare alcuni clandestini attraverso boschi e campagne, perde il futuro genero che viene ucciso dalla polizia. Capisce che si e’ trattato di una trappola e decide di far giustizia. E’ evidente che e’ stato tradito dal suo migliore amico, e che il capo della polizia e il boss ucraino non gli abbiano fatto sconti. E lo scontro sara’ duro e il finale incerto. Interpretato da Tomas Mastalir, il film dura 108 minuti: non apporta niente di nuovo a storie di malavitosi e di trafficanti, ma si svolge con molta tensione e mette a fuoco un momento e un luogo ben determinati.

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