Wajib, perla preziosa del cinema palestinese. Intervista alla regista Annemarie Jacir e all’attore Saleh Bakri

La cineasta Annemarie Jacir, che dal 1998 ad oggi ha scritto, diretto e prodotto numerosi cortometraggi, è una tra le figure più influenti del panorama cinematografico del proprio Paese, e questo non soltanto perché con la sua opera d’esordio è stata la prima regista donna palestinese ad avere girato un lungometraggio, ma soprattutto perché tutti i suoi film - Salt of this sea del 2008, When I saw you del 2012 e Wajib del 2017 - sono stati selezionati ufficialmente per concorrere ai Premi Oscar come miglior opera in lingua straniera. Nonostante ciò, Wajib - Invito al matrimonio è il primo lavoro della Jacir ad arrivare nelle sale italiane. Grazie infatti alla Satine film, Casa di distribuzione che della qualità artistica ha fatto la sua bandiera, dal 19 aprile sarà possibile ammirare al cinema questo imperdibile e delicato road-movie: indagine toccante che attraverso una relazione padre-figlio (Abu Shadi e Shadi) esplora quella sottile linea che intercorre tra dovere e amore, modernità e tradizione, sovversione e adeguamento. Il Wajib, termine che in arabo significa ‘dovere’, è un’antica usanza palestinese che prevede la consegna a mano degli inviti di nozze ad amici e parenti, ed è durante questo tour tra i vicoli di Nazareth che si snoderà l’intera narrazione.

Abu Shadi, stimato professore di 65 anni, vive e lavora a Nazareth. Lasciato dalla moglie che si è trasferita negli Stati Uniti, ha cresciuto da solo i due figli: Shadi, architetto che abita in Italia, e la figlia Amal, in procinto di sposarsi. Shadi, tornato nella sua città d’origine per il matrimonio della sorella, dovrà aiutare il padre nel cosiddetto Wajib…

I giri in auto dei due protagonisti diventano in Wajib una splendida occasione per offrire al pubblico una doppia visione della Palestina: quella di chi, non avendo mai abbandonato la propria patria, per sopravvivere è costretto a scendere a compromessi, e quella di quanti la terra natia l'hanno invece abbandonata da tempo. La Jacir, che qui mette in scena un confronto sincero tra generazioni differenti e opposte mentalità, e tra pragmatismo e ideologia, riesce abilmente a mantenere uno sguardo tanto scevro da qualsiasi forma di giudizio che i distinti punti di vista dei suoi magnifici personaggi finiranno per essere complementari l’uno all’altro, convergendo poi in un unico comune sentimento: l’immenso amore per la tormentata Palestina. La solidità di uno script molto vicino alla perfezione, unita al talento registico della Jacir e alla bravura mozzafiato di Mohammed Bakri e Saleh Bakri - padre e figlio anche nella realtà - rendono Wajib un vero, pregiato gioiello. A pochi giorni dall'uscita del film, abbiamo avuto il piacere di intervistare sia Annemarie Jacir che Saleh Bakri.

Come è nata l’idea di dirigere Wajib?
Annemarie Jacir: “L'idea è nata quando mio marito ha ricevuto una telefonata da parte di sua sorella che gli comunicava di volersi sposare. Quel giorno lui mi disse che sarebbe dovuto tornare a Nazareth ad aiutare suo padre a consegnare gli inviti di nozze, una tradizione palestinese, questa, anche se ormai in disuso, tranne appunto a Nazareth. Quindi ho pensato che quella fosse un’occasione davvero interessante per poter vedere da vicino come funzionasse quell'antica usanza. Così sono andata con loro. Per 5 giorni abbiamo girato la città in lungo e in largo, ed è stato in quel periodo che ho iniziato a sviluppare l'idea del film”.

L’attore che nel film interpreta il padre (Mohammed Bakri), nella realtà è veramente tuo padre. Come è stato recitare al suo fianco?
Saleh Bakri: “Sono stato fortunato, perché in passato avevamo già recitato insieme in alcuni cortometraggi e in un lungometraggio. Credo che queste esperienze siano quindi state una grande prova per noi. Nel film i rapporti tra i due protagonisti sono molto difficili e pieni di tensioni, e ciò è dovuto anche alle grandi differenze dal punto di vista intellettuale tra padre e figlio. Nella realtà io e mio padre non siamo così distanti, certo, abbiamo le nostre tensioni, come è normale che sia, ma non litighiamo o discutiamo così tanto come invece fanno Abu Shadi e Shadi. E’ comunque stata dura, ma ci siamo divertiti e goduti ogni singolo istante del film”. Mohammed Bakri è una leggenda vivente del cinema palestinese, sia per il suo lavoro di attore che di regista. Da sempre sostenitore della causa palestinese, tanto da essere stato diverse volte accusato di propaganda contro lo Stato Israeliano, Mohammed Bakri nel 2002 diresse il documentario Jenin Jenin, sulla distruzione dell’omonimo villaggio palestinese, che suscitò numerose polemiche nell'opinione pubblica israeliana. A mobilitarsi in suo favore vi furono molti registi italiani, tra cui anche Mario Monicelli. E se il detto recita ‘tale padre, tale figlio’, non c’è da stupirsi nel venire a sapere che Saleh, dopo avere partecipato alle riprese del film israeliano La Banda, in un’intervista del 2013 rilasciata al giornalista Frank Barat ha dichiarato di non volere più lavorare con produzioni finanziate dallo Stato di Israele, perché, a suo dire: “Si servono del cinema per diffondere bugie”. Saleh Bakri, considerato in Patria un vero sex symbol, non soltanto è un bellissimo uomo di 41 anni, ma è anche un attore di tutto rispetto che non nasconde il suo amore verso la propria terra natia.

Quale è il sentimento che nutrite nel vedere la vostra patria dilaniata e violentata da 70 anni di occupazione israeliana?
Saleh Bakri: “Dicono che quando cresci la rabbia si riduca, che si divenga sempre meno rabbiosi. Io invece sento esattamente il contrario, mano a mano che cresco la rabbia cresce insieme a me. Questo è un grande problema, perché la rabbia è qualcosa di molto pesante. Non si può andare in giro e incontrare le persone portandosi dentro questo enorme carico di rabbia. Allo stesso tempo mi dico però che nella situazione in cui sono tutta questa rabbia è salutare, perché se non fossi arrabbiato allora sì che ci sarebbe qualcosa di sbagliato in me, e ciò non sarebbe normale. Devo anche aggiungere che insieme alla rabbia cresce anche l’amore, e l’amore cresce affinché io possa essere in salute e fare arte”.
Annemarie Jacir: “Ho molta rabbia, ma anche molta speranza, perché la speranza è l’unica strada da perseguire sempre e comunque”.

Wajib è interamente ambientato a Nazareth, e forse non tutti sanno che Nazareth, situata nel nord di Israele, è abitata al 40% da Palestinesi cristiani a al 60% da Palestinesi musulmani. Negli anni Cinquanta venne però costruito un insediamento israeliano nella parte alta della città, che la divise di fatto in Nazareth e Nazareth alta. Questo processo di ‘modernizzazione della Galilea’ tuttora in corso, dove ad essere modernizzate sono state esclusivamente le zone ebraiche, ha portato a un enorme impoverimento dei cittadini arabi che, chiusi nel perimetro delle mura cittadine, vivono come esseri invisibili all’interno del loro ghetto.

Avete avuto delle difficoltà a girare il film a Nazareth?
Saleh Bakri: “Dal 1948 le terre palestinesi sono state confiscate, dunque a Nazareth vi è una densità abitativa impressionante, tanto che le persone hanno dovuto costruire case accatastate l’una sull’altra. In una tale situazione è poi evidente che la violenza dilaghi, quindi le difficoltà sono state numerose. In compenso v'è però molto amore, vi sono le relazioni umane e le tradizioni, e soprattutto c’è una grande voglia di lottare per una vita migliore contro questa forza distruttiva. Quindi in definitiva c’è anche il bene!”.
Annemarie Jacir: “Io ho girato in tutta la Palestina tranne che a Betlemme, però effettivamente a Nazareth per ben due volte è stata chiamata la polizia che ci ha fatto allontanare. Questo è accaduto quando abbiamo iniziato le riprese a Nazareth alta, perché nonostante avessimo il permesso di girare in quella zona, gli abitanti non volevano che vi restassimo.

In Wajib v'è un forte senso di umorismo che permea tutto il film, da dove nasce?
Annemarie Jacir: “Anche negli altri miei due film c’era una dose di umorismo, forse però più sottile rispetto a quello presente in Wajib. Devo dire che Nazareth mi ha ispirata molto, perché sebbene sia un luogo pieno di contrasti, il sarcasmo e l’ironia sono sempre presenti in coloro che ci vivono. Amo lo spirito, che potrei quasi definire un dark humor, che si respira in quella città, ma probabilmente questa ironia serve ai Palestinesi di Nazareth per sopravvivere”.

Ho notato che vi sono alcune scene che sembrano tagliate prima dell'inizio dell’azione, penso ad esempio al mancato bacio tra Shadi e la ragazza da cui va in visita per consegnarle l’invito di nozze. Tutto ciò faceva già parte della sceneggiatura?
Annemarie Jacir: “E’ interessante che ti sia accorta proprio di questa scena, perché mentre tutte le altre erano previste nello script, questa invece è stata una scelta fatta dal mio montatore francese. In realtà il bacio nel girato esiste, ma lui l'ha tagliato via. Inizialmente ho protestato, perché in tutti i miei film non vi è mai un bacio, e questa volta ero molto contenta di essere riuscita finalmente a inserirlo. Poi ne abbiamo discusso molto, ed effettivamente alla fine aveva ragione il montatore, perché lo spettatore non sa di preciso cosa sia successo tra i due, lo può soltanto immaginare. E la cosa più buffa è che un bacio alla francese venga tolto proprio da un francese!

Wajib è un film carico di dialoghi, ma il non detto e il non mostrato assumono in esso un ruolo fondamentale. Quanto è stato difficile scrivere una sceneggiatura piena di parole invisibili?
Annemarie Jacir: “La parte del non detto è la parte più importante, hai colto nel segno. E’ vero che è un film pieno di dialoghi, però per me i momenti più significativi erano quelli dei silenzi. Durante le prove mi chiedevo di continuo dove potevo intervenire per sottrarre i dialoghi, cosa gli attori dovevano dire e cosa non dire. Il mio è stato un vero e proprio work in progress che è iniziato dalla sceneggiatura ed è proseguito sul set”.

Mostrare al cinema il conflitto arabo-israeliano non è mai stato facile, si rischia sempre di apparire faziosi, sia da uno schieramento che dall’altro. Ma Annemarie Jacir è dotata di una sensibilità tale da consentirle di parlare di politica mettendo in scena storie semplici, intime e universali, senza mai giudicare i comportamenti dei protagonisti. Wajib, pluripremiato a Dubai, Londra e Locarno, è una perla preziosa che andrebbe vista e fatta vedere, un’opera emozionante e divertente che spinge il pubblico a informarsi più approfonditamente su quanto, nella martoriata terra di Palestina, stia realmente accadendo.