68°Berlinale: Utøya 22. Juli, La drammatica ricostruzione della strage di Utoya dell’11 Luglio 2011

Nell’attentato dell’11 Luglio 2011 a Utoya, un’isola della Norvegia, morirono 69 ragazzi e 110 restarono feriti, 55 di cui in maniera grave. Sul’isola, quel giorno, erano radunati circa 560 giovani per il campus organizzato dalla Lega dei Giovani Lavoratori (Arbeidernes Ungdomsfylking, AUF), organizzazione giovanile del Partito Laburista Norvegese. Giunto sull’isola con un’uniforme simile a quella della polizia e munito fino ai denti con un vero e proprio arsenale, il colpevole della strage di Utoya, Anders Breivik, trentaquattrenne poi condannato a ventuno anni di carcere, impiegò circa 72 minuti di tempo per girare l’isola in cerca di vittime e sparare senza sosta in ogni angolo di Utoya.

A distanza di sette anni da quel tragico evento, in concorso alla 68° Berlinale, Utøya 22. Juli del regista norvegese Erik Poppe ricostruisce i fatti sfruttando il punto di vista di una ragazza presente sull’isola nelle circa due ore della strage. Pur utilizzando personaggi fittizi e un racconto di finzione, Poppe ricostruisce in ogni dettaglio il terribile calvario sperimentato dai tantissimi giovani radunati sull’isola e ritrovatisi, all’improvviso, su un’isola della morte che non lasciava alcuna via di fuga. Seguendo da vicino la diciottenne Katja (una bravissima Andrea Berntzen) Poppe ricompone i 72 infiniti minuti (tanto ci volle perché i soccorsi raggiungessero l’isola e iniziassero a trarre in salvo i ragazzi) della strage, mostrando il lato eroico di una ragazza con lo spirito da leader e il coraggio di una leonessa pronta a spendersi, a costo della propria vita, per cercare la sorella, mettere in salvo qualche compagno, assistere una ragazza ferita nei suoi ultimi momenti di vita.

Tra le urla feroci di chi fugge da una parte all’altra dell’isola, gli spari assordanti e in costante movimento del carnefice ‘a spasso’ per l’isola, il sangue, la paura, il terrore di non riuscire a sopravvivere, Katja spenderà tutto il suo tempo a disposizione per rendersi utile, fare il possibile in una situazione di assoluta follia e dove la terribile caccia del gatto al topo assume minuto dopo minuto il profilo di un orrore vero. In un lunghissimo piano sequenza, un virtuosismo davvero efficace ai fini della narrazione, Erik Poppe rianima l’orrore di quei momenti, riporta in vita la disperazione di un sentirsi in trappola, a un passo dalla morte e senza alcuna ‘valida’ ragione. Ammassati tra i rami della parte boschiva o affogati nella fanghiglia sotto gli scogli, i giovani di Utoya raccontano la follia di un male senza fondamento e senza spiegazione che si abbatte furioso sulle vite innocenti e inermi di esistenze ancora troppo giovani per conoscere davvero la paura.

Angoscioso  e attraversato da un realismo scioccante, Utoya ci rende partecipi di questa immane tragedia, ci fa tutt’uno con la disperazione dei ragazzi, ci trascina letteralmente nel cuore di un orrore che vorremmo fosse solo pura finzione, e che invece è la magistrale ricostruzione di una fin troppo reale follia umana.