7 minuti

Ispirato a una storia vera” è la didascalia che apre i circa novantadue minuti di visione su cui si costruisce 7 minuti, che Michele Placido ha derivato dall’omonimo testo teatrale di Stefano Massini edito da Einaudi, a un anno di distanza dal La scelta in cui, nel 2015, diresse la Ambra Angiolini qui inclusa tra le undici donne protagoniste. Undici donne che, come nella storia vera di cui sopra, accaduta nel 2012 a Yssingeaux, in Francia, tra operaie ed impiegate si trovano messe alla prova da un’ambigua offerta di rinnovo di contratto, impegnate a decidere – per sé e in rappresentanza di tutta la fabbrica tessile italiana dove lavorano – se accettare la richiesta dell’azienda.

E, mentre la figlia Violante concede anima e corpo ad una disabile su sedia a rotelle, sono lo stesso Placido e il fratello Gerardo a vestire i panni dei due titolari della proprietà, che cedono in buona parte ad una multinazionale, pur senza causare licenziamenti. La disabile facente parte del “gruppetto rosa” che, un po’ come nel classicissimo La parola ai giurati di Sidney Lumet, in cui avevamo il dubbio di un giurato contro la certezza degli altri nel condannare un probabile innocente, si riunisce attorno ad un tavolo, con una di esse sola contro tutte per difendere la certezza che dietro la nuova proposta si nasconda una trappola da cui non si potrà più tornare indietro. Esse comprendenti, tra le altre, una ritrovata Ottavia Piccolo e le cantanti Maria Nazionale e Fiorella Mannoia, in questo caso madre di una Cristiana Capotondi incinta e sua collega; mentre la svizzera Sabine Timoteo arricchisce il comparto internazionale insieme alla francese Clémence Poésy, calata nei panni di ragazza dell’est, ed a Balkissa Maiga, unica di colore.

Perché, pur spingendo a pensare ad un’allegoria relativa a qualsiasi periodo elettorale con tanto di elettori disposti sempre ad ignorare piccoli cambiamenti che, però, si rivelano spesso fatali, è in maniera evidente un attento sguardo al sempre peggiore variegato universo professionale operaio d’inizio terzo millennio quello inscenato dall’autore di Romanzo criminale e Le amiche del cuore, il quale osserva: “In una società in cui il divario ricchi-poveri si accentua sempre più e il confronto sindacale o ideologico viene sempre meno, emergeranno soprattutto gli aspetti personali, i propri bisogni, il proprio ego e anche la propria disperazione”. Universo professionale qui efficacemente raccontato tirando in ballo famiglie impossibilitate a comprare i libri di scuola ai figli e facendo venire alla luce, di conseguenza, autentiche situazioni di precarietà che spingono ad accettare l’inaccettabile per avere un’occupazione.

Mentre la crisi assume i connotati dell’autentico spettro dispensatore di paura e la combriccola femminile si dimostra pienamente all’altezza nel sostenere una coinvolgente operazione che, quasi totalmente ambientata in un unico interno, individua nel nervosismo trasmesso dalla serrata conversazione l’indispensabile generatore di tensione.