A United Kingdom e quell’amaro retrogusto da telenovela

Londra, 1947. Un uomo e una donna si conoscono durante una serata trascorsa in un jazz club: e sarà subito coupe de foudre. Fin qui nulla di strano, il lui in questione è però l’africano Seretse Khama, erede al trono del Bechuana - oggi conosciuto come Botswana -, mentre lei, Ruth Williams, è una giovane impiegata bianca londinese. Ma l’amore, è cosa nota, non ammette interferenze, tantomeno se dettate da pregiudizi o ragioni di Stato. Andando contro il volere delle rispettive famiglie, nonché dei loro Governi di appartenenza, i due innamorati si sposano e lasciano la Gran Bretagna per trasferirsi nel Paese di Seretse, protettorato dell’Impero Britannico, dove, a causa della segregazione razziale, la loro unione non avrà vita facile…

A United Kingdom – L’amore che ha cambiato la storia, tratto dall’omonimo romanzo di Susan Williams, racconta una vicenda realmente avvenuta durante gli anni bui dell’apartheid, ma l'opera stenta purtroppo a decollare. Nonostante il pregio di avere portato sul grande schermo un evento poco conosciuto, la regista Amma Asante fatica infatti a trovare il giusto equilibrio tra la linea narrativa prettamente romantica e quella politica, finendo così per creare un lavoro stridente e a tratti poco coinvolgente. I tanti sdolcinati dialoghi tra marito e moglie, le facili lacrime di Seretse, la monotematica espressione di patimento sul volto di Ruth, non solo fanno scivolare il film verso la china del melodramma, ma ne offuscano inevitabilmente la parte più interessante: la potenza del tema sociale. Una mancata armonia che, tra l'altro, costringerà gli spettatori a notevoli sforzi per ricordare di assistere a un fatto davvero accaduto.

I bei costumi, l’ottima fotografia, la raffinata e fumosa atmosfera di Londra, come pure quella luminosa dell’Africa, non saranno sfortunatamente sufficienti a cancellare il fastidioso sapore di telenovela che il pubblico più esigente avvertirà in sala. Un vero peccato, se si consideri che quella regale coppia interrazziale, combattendo contro il mondo intero, indicò e percorse la strada che portò dritti all’indipendenza del Botswana, poi ottenuta nel 1966. La filmmaker inglese, di origini ghanesi, sembra spingere oltremisura il pedale della finzione, ricavandone però il solo risultato di trasformare un’avvincente e portentosa storia di diritti umani negati, e di sottili giochi politico-economici, in una favola di forte impronta disneyana. David Oyelowo, il Martin Luther King di Selma, e Rosamund Pike, ricordata soprattutto per il ruolo di Amy Dunne ne L’amore bugiardo – Gone Girl, vestono i panni dei protagonisti, ma se il primo convince, la seconda da invece adito a grandi dubbi.

Un’occasione dunque in gran parte sprecata, dove la noiosa ricerca del biopic forzatamente convenzionale lascia in bocca un retrogusto amaro di cui non si sentiva di certo il bisogno.