Alamar, piccolo capolavoro che non ti aspetti

Quando capita di imbattersi in sconosciuti gioiellini cinematografici quali Alamar, ci si domanda come sia possibile che questa ‘perla’ datata 2009 esca in Italia soltanto adesso. La risposta è purtroppo di una semplicità disarmante: Alamar non è un prodotto commercialmente appetibile. Ma quali sono gli elementi che determinano l’appetibilità, o meno, di un’opera? Innanzi tutto le logiche di mercato celate dietro l’industria del cinema che hanno consentito ad alcuni lungometraggi di ‘cannibalizzare’ la gran parte delle sale di proiezione - basti pensare ai lavori di Checco Zalone o alle super produzioni hollywoodiane -, tralasciando una serie di splendidi film che nel nostro Paese non vedranno mai luce. E' per merito di Ahora!Film, in collaborazione con Rossosegnale, Barz and Hippo e il Cinema Beltrade di Milano, che potremo finalmente assistere a questa inaspettata gemma filmica a firma messicana.

Pedro González-Rubio mette in scena una tra le più toccanti storie d’amore mai portate sul grande schermo: quella del rapporto tra padre e figlio, destinati presto a separarsi. Prima di trasferirsi dal Messico in Italia con la madre Roberta, Natan, un bimbo di cinque anni, andrà con il padre Jorge a trascorrere un mese nella casa-palafitta di Banco Chinchorro in cui abita Matraca, il nonno pescatore… Il regista messicano, nato a Bruxelles, realizza un’opera che si muove perfettamente all'interno della sottile linea di separazione tra realtà e finzione, dove la forte impronta documentaristica rafforzerà ulteriormente la gamma di emozioni che avvolgerà gli spettatori fin dal primo momento. González-Rubio, che vive a Playa del Carmen dal 2003, è stato testimone diretto della distruzione di un’estesa barriera corallina effettuata per dare spazio alle navi da crociera, giganti di ferro che con i loro scarichi minacciano l’intero ecosistema di quel luogo. Da qui nasce nel cineasta – vero deus ex machina del progetto, suoi regia, sceneggiatura, montaggio e produzione – l’urgenza di fare un film sulla interdipendenza uomo-natura: un’ode poetica sulla consapevolezza ambientale.

Alamar possiede l’indiscusso pregio di riuscire a ipnotizzare il pubblico solo narrando né più né meno che la quotidianità, e questo ha dell’incredibile. Sì, perché sebbene per 73 minuti nulla accada di eclatante, si rimane inchiodati alla poltroncina nella speranza che il film non debba mai finire. Il segreto di questa ipnosi, causata dall’osservazione della natura selvaggia posta in armoniosa relazione con l’uomo, sta nell’evocare il ritorno alle origini: quel forte bisogno ancestrale dell'essere umano di immergersi nelle proprie radici. Sulle acque cristalline di Banco Chinchorro, atollo corallino e Riserva Naturale della Biosfera situato nel Mar dei Caraibi, si svolge un viaggio di iniziazione alla vita che Natan, anche se questo sarà il preludio a un doloroso arrivederci, non dimenticherà mai. Durante i giorni vissuti tra soli ‘uomini’ - dove la figura più importante è comunque la femminile ‘Madre Natura’ - , grazie a Jorge il bambino scoprirà l’arte della pesca, il rispetto per gli animali, il significato del termine libertà (associato al migrare degli uccelli) e, soprattutto, la magica intimità creatasi con il padre.

In Alamar non esistono ridondanze, tutto fila liscio tra intensi sguardi e prolungati silenzi che sottolineano con maggior vigore l’importanza di dialoghi e azioni: l’amore delle parole pari a quello dei gesti. Ma il vero punto di forza del film sta nel personaggio di Jorge e nella sua impressionante naturalezza e semplicità, un uomo saggio che con infinita tenerezza guiderà Natan alla scoperta del mondo, avvicinandolo a quei valori universali calpestati oggi dall’arroganza dell’uomo ‘moderno’. Attraverso alcune sequenze indimenticabili Pedro González-Rubio descrive passo passo l’indissolubile legame padre-figlio: il giocare alla lotta; le immersioni in mare; le canzoni gioiosamente da loro intonate cullandosi nelle amache; l’estrema tranquillità di Jorge nell'avvisare Natan del coccodrillo che sonnecchia a pochi metri dai suoi piedi. A rendere ancora più efficace il senso di empatia tra pubblico e protagonisti intervengono poi più fattori, quali: il fatto che Jorge e Natan - interpretati dagli stessi Jorge Machado e Natan Machado Palombini - siano realmente padre e figlio; che il ruolo della madre Roberta sia sostenuto dalla vera Roberta Palombini; che a ricoprire i panni di Matrarca sia Néstor Marin detto Matraca, uno dei 40 pescatori che tuttora risiedono in quel paradiso terrestre chiamato Banco Chinchorro.

Alamar e il suo ritmo rilassante permettono di riscoprire che l’essenza della felicità risiede nelle piccole cose: imparare a squamare un pesce, stringere amicizia con un airone senza soffrire quando questo volerà via (inevitabile metafora della condizione di Natan e Jorge), abolire l’impaziente frenesia quotidiana, perché, come recita una frase del brano cantato dai due protagonisti: “Sto aspettando di salire su questa barca, sto andando verso il mare. Sto camminando, non c’è fretta di arrivare”.

Emozionante, necessario, imperdibile.