Alcolista: thriller, horror e drammi del gomito alzato

Ognuno vive ogni giorno con le sue colpe, da solo.

Qualcuno ricorda quel The perfect husband che, aggiudicatosi il premio Mario Bava per la migliore opera prima presso l’edizione 2014 del Fantafestival, vide Bret Roberts e Gabriella Wright impegnati a fare la coppia sposata alle prese con un tutt’altro che tranquillo viaggio di nozze?
Sotto la regia dello stesso Lucas Pavetto che li aveva diretti in quell’occasione, tornano protagonisti in Alcolista, che, sfruttando il fatto che Roberts abbia realmente provato sulla propria pelle la dipendenza alcolica, lo cala nei panni dell’individuo suggerito dal titolo; il quale, solo e “consolato” esclusivamente da bottiglie, trascorre le giornate progettando l’omicidio del suo vicino di casa.

Vicino di casa manifestante le fattezze dell’icona horror Bill Moseley (Non aprite quella porta parte 2 e La casa del diavolo nella sterminata filmografia) e di cui soltanto una volta giunti a metà lungometraggio scopriamo il motivo per il quale sia la vittima prescelta del soggetto che si trova al centro della oltre ora e quaranta di visione. Soggetto in cui aiuto arriva una assistente sociale interpretata, appunto, dalla sopra menzionata Wright; man mano che, tra allucinazioni, deliri e riunioni di alcolisti anonimi, viene delineata la storia di un uomo che ha perso tutto e che precipita ancora più in basso, fino a smarrire la propria integrità morale.

Una storia a proposito di cui l’autore precisa: “Il film manifesta una condanna netta nei confronti dell’abuso etilico mostrandone tutti i lati negativi, tuttavia l'alcool non è visto come unico responsabile; il film vuole suggerire una riflessione in merito a chi affronta la vita attraverso una chiave di interpretazione prettamente nichilista e pessimista”.
Si intravede, infatti, anche un certo attacco indirizzato ai metodi, a volte discutibili, di coloro che dovrebbero rappresentare gli addetti al recupero di persone afflitte da tali problematiche; senza mai rimanere ancorati, però, al dramma ed affrontando la vicenda tramite una narrazione da thriller, sfociando addirittura negli stilemi da pura pellicola dell’orrore (con tanto di comparsata di Lloyd Kaufman, boss della trashissima casa di produzione Troma).

Del resto, se da un lato una mostruosa figura incappucciata sembra quasi richiamare alla memoria l’entità maligna della saga Boogeyman, dall’altro una sequenza d’invasione di blatte provvede a mettere a dura prova lo spettatore maggiormente entomofobico.

Ma, sebbene l’insieme – non privo neppure di qualche effetto digitale – appaia tecnicamente curato e sufficientemente coinvolgente nel suo lento evolversi, al di là della leggermente eccessiva lunghezza è proprio la continua indecisione nei confronti del filone in cui incanalarsi a penalizzarne, in parte, la riuscita finale.