Benvenuto in Germania - Benvenuti nel tema di oggi: l’immigrazione

Benché Benvenuti in Germania sia uscito quasi due anni fa nel suo Paese d'origine (nel novembre del 2016), l’argomento è ancora molto scottante. Il tema dell’immigrazione nei paesi europei, è un argomento talmente abusato a livello politico che tutti, in astratto, hanno un’opinione molto forte, molto spesso in negativo; molto più raramente in positivo. Quello che il dibattito politico odierno dimentica volutamente sono le storie individuali. È sempre molto facile rappresentare i cosiddetti immigrati come un popolo omogeneo e senza volto, dotato di bisogni e di valori culturali radicalmente diversi, se non addirittura opposti, rispetto ai nostri. Uno degli strumenti più basilari della politica spesso consiste nell’indicare un bersaglio dopo averlo disumanizzato.

Benvenuti in Germania va nella direzione opposta, rappresentando vite reali, così come accadono nella realtà, ma con il tono leggero della commedia degli equivoci. Contrariamente alla poetica corrente dell’aiutiamoli a casa loro, Angelika, professoressa in pensione, ospita in casa propria Diallo, un rifugiato nigeriano. In realtà la forza della commedia sta già in questa breve sinossi: l’accostamento di mondi 
diversi, come una famiglia di professionisti della classe media europea e un rifugiato proveniente dall’Africa con un retroterra molto diverso, ha già un potenziale comico non indifferente. Solo con un occhio esterno si possono vedere e misurare le contraddizioni della nostra società attuale, per poi scoprire, anche solo ridendo, che i nobili valori di cui ci crediamo portatori sono già molto scricchiolanti e, spesso, solo un fragile intonaco di facciata. Sono le domande ingenue di Diallo, che qui ha davvero qualcosa di infantile nei suoi quesiti semplici ma fondamentali, che portano tutto allo scoperto. Questo modo ironico di esporre l’Europa non è però un modo sterile per devastare, ma uno strumento utile per ricostruire ciò che è sano e che deve essere salvato. Allo stesso modo, in due sequenze distinte, viene espresso un concetto semplice: la paura dell’integralismo è la stessa, in chi fugge e in chi è già in Europa.

Il regista Simon Verhoeven ha detto, in un’intervista: “ammetto che sono sempre stato sorpreso dall’umorismo con cui molti rifugiati vedono la propria situazione. Alcune di queste esperienze sono confluite nel personaggio di Diallo e non posso che ringraziare il mio attore Eric Kabongo per tutta la passione che ha messo nel suo ruolo”. In effetti Eric Kabongo è straordinario nel suo ruolo a volte innocente, a volte sornione, sempre estremamente misurato nel suo essere portatore di un mondo interiore ricchissimo, che solo per pudore non vuole venire fuori per raccontare la tragedia che Diallo si porta dentro. Nonostante il suo dramma personale, Diallo vuole ridere ed essere felice, come tutti noi. Questo è forse l’aspetto più scomodo per chi vorrebbe tacciare film come questo con quell’odiosa parola destrorsa che cela il peggior egoismo postcoloniale: il termine “buonismo”.

Per quanto il film sia politico nello sfondo, non si tratta di un film “schierato”. Non vuole offrire soluzione o imporre condanne. Persino la scena del sit in neonazista di fronte alla casa in cui risiede Diallo ha una valenza più comica che “antifascista”, tanto da ricordare più i neonazisti dell’Illinois di John Landis, piuttosto che altri orrori più o meno lontani nella storia. Quello che resta è un film godibile, che ha avuto
un grande successo in Germania, sia di critica che di pubblico, e che decisamente non è fuori tempo massimo per essere apprezzato anche in Italia.