Dovlatov: il regista Alexey German Jr. in concorso alla Berlinale 68 con un film di spessore artistico ed emotivo

Leningrado, Novembre 1971. Mentre una coltre di neve e una fitta nebbia avvolgono la città russa, per strada e nelle case si celebra l’ennesimo anniversario della rivoluzione. Ma la vera rivoluzione sociale e politica sembra in realtà ancora lungi dal compiersi e il giovane poeta Sergei Dovlatov è espressione diretta di questo stato, interrotto, di cose. Le sue problematiche famigliari, così come la difficoltà a farsi pubblicare gli scritti che vengono, invece, puntualmente rifiutati, insieme al generale stato di incompiutezza della sua vita, descrivono e certificano le fragilità di una dimensione societaria ancora in cerca affannosa di una propria ‘determinazione’. I dolori del giovane scrittore che sogna Brezhnev e Pollock verranno poi sviluppati e sciolti nei quattro giorni che anticiperanno il suo trasferimento a Tallin, in cerca di una maggiore fortuna. Quattro giorni cuciti attraverso un disagio umano ed esistenziale che si affacciano su un malessere molto più vasto sperimentando un galleggiare apparentemente vacuo al quale, infine, solo la vita – reale, vissuta o incompiuta – offrirà un lembo di senso.

Dalla Russia in concorso alla 68° Berlinale ancora un film costruito nella vastità di un dolore che attraversa il racconto biografico dei quattro (interiormente) intensi giorni della vita del poeta russo Sergei Dovlatov impegnato nella lotta alla pubblicazione dei suoi scritti (le sue opere rimasero bandite fino al 1989 e lui, morto precocemente nel 1991, non seppe mai del successo che ottennero). Un concentrato politico e storico che tramite il ‘girovagare’ del protagonista alla ricerca di sé scioglie i nodi di una realtà sociale ancora profondamente ostile e in divenire, fa un bilancio tra passato e presente, e muove una riflessione profonda sui cambiamenti  tutti, quelli compiuti e quelli in atto.

Dai paesaggi esterni solitari, innevati e vuoti agli interni pieni di gente e di parole (il circolo letterario, la redazione, la casa editrice), il figlio d’arte Alexey German Jr. (a distanza di tre anni da Under Electric Clouds, presentato sempre a Berlino) sfrutta la fluidità tipica del cinema dell’est Europa per percorrere i corridoi e le stanze  di un mondo imploso e chiuso in sé stesso. Una fluidità che in un certo senso non raggiunge mai il suo apice ma che procede costante lungo le quattro lunghe giornate che inseguono la circolarità della vita partendo e chiudendosi sull’entità famiglia ma analizzandosi attraverso la sfera professionale e autoriale. Una sorta di elaborazione del lutto e riconciliazione con la vita attraversata dal disfacimento emotivo che  Alexey German Jr. scandisce con una notevole profondità estetica e una potente carica umana sviscerata anche grazie all’ottima prova del protagonista Milan Maric.