Drive me home: l’alchimia tra Marchioni e D’Amore in un ‘road movie dell’anima’

Perdersi per poi faticosamente ritrovarsi. Ritrovarsi per sentirsi nuovamente a casa, come quando da piccoli Antonio e Agostino si nascondevano agli occhi degli adulti e sognavano di vivere circondati solamente dalla bellezza della natura. Drive me home, opera prima di Simone Catania, narra di un’amicizia interrotta, di sogni disillusi ma mai svaniti, di dolorose solitudini, di crisi identitarie e di incomunicabilità: un viaggio a ritroso alla ricerca delle proprie origini, un percorso interiore, e non solo, compiuto da due giovani emigrati italiani in cerca di una vita migliore.

Antonio e Agostino (interpretati dai bravissimi Vinicio Marchioni e Marco D’Amore) trascorrono l’infanzia e l’adolescenza nella campagna siciliana. Il legame tra i due appare indissolubile, fino a che un giorno le loro strade si divideranno. Antonio vivacchia facendo il cameriere tra Londra e Bruxelles, mentre a bordo del suo tir Agostino gira il Belgio in lungo e in largo. Quando Antonio scoprirà che la sua casa natia, ormai abbandonata da tempo, sta per essere messa all’asta, andrà alla ricerca dell’amico perduto per tentare di coinvolgerlo nel salvataggio di quel luogo lontano a loro tanto caro…

Il film di Catania lo si potrebbe definire un “road-movie dell’anima”, dove lunghi silenzi, autostrade notturne, cene preparate su piccoli fornelli in squallide aree di servizio e fugaci incontri amorosi non sono altro che frammenti di uno specchio rotto in cui si riflettono le esistenze dei protagonisti: figure emblematiche di una società liquida ormai annichilita e sempre più indifferente. Ecco, allora, che Drive me home diviene un racconto quasi universale, una riflessione sul mondo contemporaneo e sul significato profondo del termine “casa”. Già, perché se è vero che la propria “casa” potrebbe anche essere l’abitacolo di un camion, è altresì innegabile che le radici siano altrove.

Riconoscere il valore del ritorno e del passato, quale giusta via per segnare un punto di partenza verso il futuro, è la sottile linea rossa che percorrerà l’intero lungometraggio, nonché il motore che farà (ri)unire i due personaggi principali. Con il passare degli anni, Antonio e Agostino si sono infatti ritrovati cambiati, nulla è più come prima. Desideri infranti, parole non dette, paure nascoste e segreti proibiti faranno sì che la diffidenza dell’uno nei confronti dell’altro, e viceversa, li schiaccerà come un macigno, e la ricerca di un rifugio per due anime perse quali le loro non sarà facile. In questo itinerario attraverso l’Europa, animata da vari idiomi, i protagonisti si studieranno e si riconosceranno grazie ai loro ricordi di bambini: rievocazioni nitide di radici mai divelte.

Realizzato con un budget irrisorio, senza che il regista abbia avuto dunque la possibilità di rigirare le scene o di utilizzare mezzi tecnici all’avanguardia, Drive me home è un film sincero, un’opera non perfetta ma che emoziona, un lavoro impreziosito dalla magnifica alchimia tra Vinicio Marchioni e Marco D’Amore.