Girotondo

Se nel suo esordio dietro la macchina da presa Quel venerdì 30 Dicembre – concepito, però, in coppia con il direttore della fotografia Dario Germani – aveva provveduto ad inscenare la propria storia di titolare di una tipografia in cui stampa e realizza materiale per la promozione di film e l’allestimento delle sale cinematografiche, anche in questa opera seconda Tonino Abballe non manca di inserire elementi autobiografici, comparendovi, oltretutto, nel corso degli ultimi minuti di visione. 

Ultimi minuti attraverso cui sfodera una vera e propria dichiarazione d’amore da grande schermo nei confronti della moglie; conferendo all’insieme, però, l’ulteriore e del tutto evitabile tocco da filmino amatoriale che finisce per caratterizzare, purtroppo, un po’ tutta l’operazione, mirata a porre in evidenza la violenza fisica e psicologica subita e vissuta da uomini e donne.

Del resto, è una visibilmente scattosa panoramica sul mare ad aprire Girotondo, costruito su due figure femminili alle prese con soprusi da parte del proprio partner o di uno sconosciuto per la strada e sofferenze patite a causa di una separazione o di un tradimento. Argomenti non poco importanti e che, con i veterani Armando De Razza e Antonella Ponziani coinvolti in brevi apparizioni e un comparto attoriale rosa comprendente Erika Marconi, Rosaria Razza e Valentina Ghetti, avrebbero sicuramente necessitato di essere raccontati in fotogrammi attraverso una struttura narrativa maggiormente solida rispetto a quella confusa e indecifrabile qui sfruttata.

Perché, mentre la già citata Razza si cimenta nel doppio ruolo di paziente e psichiatra e, allo stesso modo, il buon Massimiliano Buzzanca veste sia i panni di un dottore che dello stupratore, lo script – firma dello stesso Abballe – amalgama il tutto in maniera piuttosto anarchica, senza permettere all'annoiato spettatore di apprendere a dovere il senso della storia che sta seguendo.

E, se buona parte delle prove sfoderate dal cast lasciano abbastanza a desiderare, non sono certo un montaggio da dimenticare e la bizzarra ed insensata scelta di fondere in più occasioni immagini reali con scenografie disegnate in stile fumetto a migliorare le sorti di neppure un’ora e venti totale che, tra l’altro, sfodera anche una buona ma decisamente sprecata colonna sonora targata Flippermusic.