Il colore della libertà - Per non dimenticare...o quasi

Ben vengano film che denunciano atrocità passate alla storia come se fossero vita comune. Ben vengano, in momenti dove si tirano su muri nell'Europa dell'Est o dove dei “politici” al parlamento italiano, esultano come allo stadio, perchè una legge che tutela i diritti di molti non è passata. Il Colore della Libertà, titolo (per ragioni di distribuzione che si fa fatica a capire) rubato ad un altro film su Nelson Mandela del 2007, narra la storia di Bob Zellner, uno dei primi attivisti bianchi contro la segregazione dei neri, che ancora oggi lotta per un mondo dove non ci siano più ingiustizie.

C'è da dire che sorprende vedere come fino a poco più di 50 anni fa negli Stati Uniti (il Paese che oggi dice di esportare “democrazia” dappertutto) ci fossero ancora tizi che proclamavano la supremazia bianca e  che venivano tollerati dal sistema come se niente fosse. Stati interi dove le scuole erano ancora per bianchi e per neri. Il giorno di Natale del '56 venne addirittura bombardata una chiesa battista a Birmingham, in Alabama, come se fosse una guerra. E il racconto, diretto da Barry Alexander Brown (già montatore di Spike Lee che il film lo produce) questa “guerra” la lascia intuire ma, nonostante il film sia ben fatto, sembra tutto troppo pulito.

Interessante la regia, bravi gli attori (su tutti un Brian Dennehy cattivissimo), eccellente l'ambientanzione ma tutto sembra infiocchettato per un pubblico che cerca soltanto un paio d'ore di relax, tant'è che anche l'immancabile storia d'amore, ad un certo punto, prende il soppravvento. Diciamo che, nonostante la sufficienza sia ampiamente raggiunta, la rabbia, la commozione e la voglia di uscire dal cinema ed andare sulle barricate la dobbiamo cercare da un'altra parte. Un' occasione persa. Peccato.

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