Il segreto di una famiglia, il nuovo dramma di Pablo Trapero

Se quattro anni fa il regista argentino si era aggiudicato il Leone d'Argento con Il Clan, ispirato ad una pagina nera della cronaca del suo paese e avente per protagonisti i componenti maschili di un clan, appunto, Il segreto di una famiglia è invece un dramma tutto femminile, dalle tinte fosche e dal sapore antico, quello dei melodrammi degli anni '50.

Ambientato nella splendida tenuta di campagna che dà il titolo originale al film, La Quietud, Il segreto di una famiglia, diretto ed anche scritto dallo stesso Trapero, racconta infatti l'incontro tra Mia ed Eugenia, sorelle legatissime che si rivedono dopo quindici anni per stare vicino al padre malato. Se dapprima la complicità tra le giovani donne sembra farla da padrona, ben presto i rapporti, soprattutto con la madre, si fanno tesi e, discussione dopo discussione, emergono antichi rancori e dolori sopiti che distruggeranno la quiete ispirata dal luogo ma annientata dal passato.

Un passato in cui si intrecciano memorie storiche legate alla dittatura e tanti, troppi segreti che trapelano come un fiume in piena. Troppi, sì. La sensazione, con il procedere della narrazione, è che ci sia davvero troppa carne al fuoco, che troppe maglie di una stessa trama si intreccino tra loro, finendo per annodarsi in un confuso intrico di emozioni e scomode rivelazioni. L'aggettivo che più identifica il film è senz'altro morboso: morboso come il rapporto tra le due sorelle, fulcro incrollabile della narrazione. Morboso come l'attaccamento di Mia al padre o della madre Esmeralda alla figlia Eugenia. Morboso come il passato che sembra avvelenare il presente, fino a farne crollare tutti i capisaldi.

Via via che il film procede, facendo leva su una fotografia incantevole e dal sapore malinconico, i nodi vengono al pettine, i colpi di scena destabilizzano lo spettatore e la sensazione di quiete prima della tempesta pervade tutta la narrazione.

Difficile da digerire perché ci sono tante tematiche tabù di cui è impossibile parlare senza “spoilerare” ma indubbiamente ben girato e con un trio di attrici formidabili, composto dalla candidata all'Oscar Bérénice Bejo e dalle superbe Graciela Borges, nel ruolo della madre, e Martina Gusman nel ruolo di Mia. L'impianto visivo e quello scenografico sono senza dubbio gli aspetti più validi, coadiuvati a loro volta dalla bellissima colonna sonora, malinconica anch'essa, che comprende brani in inglese, spagnolo e francese, tra cui uno interpretato da Vanessa Paradis.

Fra tramonti incantevoli su distese erbose, prati sorvolati da uccelli in volo e le dolci note di una chitarra che accompagnano le immagini bucoliche, il film si ammanta di un velo poetico, squarciato ben presto da lacrime e acredine e da un imprinting peccaminoso.