IT, la paura a colori.

Attacco con il più logoro dei luoghi comuni: il libro è più bello, anzi, il libro è tutta un’altra cosa. Ma non poteva essere altrimenti. IT è uno dei  romanzi più importanti del secolo scorso, sicuramente della seconda metà del secolo scorso. Quando si portano sugli schermi opere di letteratura così fondamentali e basilari è impossibile qualsiasi confronto.
Perché viene da chiedersi, durante la visione: dov’è il romanzo di formazione? Dov’è l’ambiente  putrefacente di Derry, metafora della chiusura mentale della provincia americana? Dov’è il rigurgito interiore di un passato che atavicamente ritorna? Dov’è la paura indotta solo dall’atmosfera che si descrive?

Non c’è nulla di tutto ciò.

Qui, non siamo di fronte ad un’opera come Il  Signore degli Anelli, dove è sufficiente essere un virtuoso acrobata della macchina da presa per sopperire alle lacune che il linguaggio cinematografico fatica a colmare rispetto alla parola scritta. Qui siamo di fronte ad un romanzo che potrebbe essere oggetto di una tesi di laurea in psicologia (e forse lo è stato). Dunque , o ti chiami Hitchcock (o Cronenberg), ed allora tenti l’impresa, altrimenti, se ti chiami Andy Muschietti, realizzi un’opera come questa: un bel film di genere, con moderato splatter e discreta tecnica narrativa, con i tempi giusti ed una fotografia che dilata ed enfatizza il senso di straniamento, forse l’unico elemento del libro che ho ritrovato nel film.

Tecnicamente, quindi, siamo di fronte ad un film horror ben fatto, che trova il suo limite proprio nell’averlo voluto incasellare in questa categoria senza provare ad elevarlo verso qualcosa di diverso, di maggior spessore e contenuti. In sala si salta sulla poltrona, ma non si vola con la mente. Il plot rimane irretito dal gelido sorriso del clown e da là non si muove più. Invece di descrivere il mostro che è in noi (a parte, forse, nelle sequenze del padre di Beverly) Muschietti e i suoi autori si concentrano su Pennywise (ottimamente interpretato dal giovane attore svedese Bill Skarsgård) e i suoi denti gialli e i suoi capelli arancioni e i rossi palloncini che ne annunciano la presenza. Il protagonista del film è lui, la paura è nei suoi colori ed in tutte le sue manifestazioni. La fratellanza nata tra i ragazzini del club dei perdenti e che si rinnoverà una volta divenuti adulti, rimane ai margini,  messa in secondo piano dal ghigno assassino del clown. Ecco, la speranza è che nella seconda parte,  l’accento si sposti sul dato interiore e più introspettivo della storia.

Per il resto, una nota di plauso alla ricostruzione della cittadina di Derry ed alla perfetta riproduzione dei “barrens”, le lande brulle e desolate dove tutto ha inizio.