La La Land

Nella vita ci sono molte note stonate. Gli imprevisti o i drammi che bussano inaspettati alla porta, le sliding doors mai prese e che avrebbero potuto invece condurre verso qualcosa di bello, quelle piccole falle che ogni esistenza incontra lungo il suo cammino più o meno breve. Ma ci sono anche le splendide intonazioni, quei momenti di afflato straordinario e assoluta armonia con gli altri o con se stessi che ci rimettono “in pari” con la vita, e che molto spesso sono anche difficili da prevedere. Quei momenti in cui la felicità è così alta che ci fa calzare un paio di scarpe da tip tap e iniziare a ballare, così, senza un motivo. Lì sul posto, e qualsiasi sia il posto in cui ci troviamo. 

Damien Chazelle riparte da qui, dal dinamismo della vita, e dai suoi alti e bassi straordinari con La La Land, film che apre “col botto” e di gran ritmo Il Festival di Venezia numero 73. Recuperando quelle che erano state un po’ le atmosfere e le origini del suo esordio cinematografico, ovvero le linee del caso e delle scelte prese all’interno di un discorso amoroso e musicale narrate in Guy and Madeline on a Park Bench (un’opera ancora acerba, ma che racchiudeva in germe già tutto il potenziale di questo giovane regista classe 1985), Chazelle (reduce dal recente successo per Whiplash) firma al suo terzo lungometraggio un’opera dall’emozionalità ante litteram, dal romanticismo assoluto, una storia d’amore che non si ferma al classico lui incontra lei e si amano, ma che va ben oltre, e ci spinge a vedere costruzione e decostruzione, possibilità e limiti di un’intesa, di un rapporto, di un amore, e perfino di un sogno. 

Dalla colonna di macchine in fila dei titoli di testa alla coreografia musicale che ne deriva, il film libera infatti la creatività superba di questo regista statunitense, supportata e completata da quell’affinità musicale che a volte descrive e sintetizza meglio delle parole sentimenti e stati d’animo. La partitura musicale e (soprattutto) Jazz di La La Land è ciò che poi però compie il vero miracolo, disvela ragioni ed emozioni, conducendo per mano due protagonisti in stato di grazia (Emma Stone e Ryan Gosling qui in un duetto davvero memorabile, già divenuto vero e proprio cult) attraverso le intemperie esistenziali, i desideri, gli errori, i successi, i sogni. Quelli che si realizzano e diventano realtà, ma soprattutto quelli che restano per sempre sogni e ci regalano la magia di un paio di occhi lucidi legati a una speranza da cogliere o a una memoria da custodire. 

Ed ecco dunque che tra incontri casuali, tip tap, e mirabolanti coreografie in musica, il pianista Jazz Sebastian (Gosling) e l’aspirante attrice Mia (Stone) con la loro storia d’amore e i loro sogni nel cassetto corteggiano e conquistano senza riserve lo spettatore. A passi di danza, ma non solo. Il corso di una stagione amorosa, scandita dal tempo e dalla musica, dal palpito delle possibilità e dalla malinconia delle scelte che non si cambiano, diventa teatro di posa sul quale cantare, ballare, vivere la vita e brindare alle occasioni tutte, perfino quelle perdute. Storie di vita in musica che diventano voci del presente e portano la stessa densa, compiuta struttura di una partitura musicale magistrale. 

C’è un incipit, un lungo intermezzo, e una gran chiusura. Non manca davvero nulla a questo capolavoro d’arte in musica ed emozione che ci ricorda che le occasioni, se sono tali, vanno sempre prese al volo - “Take me on I'll be gone In a day or two”.