La vendetta di un uomo tranquillo: quando l’allievo supera i maestri

Lo spagnolo Raúl Arévalo, attore molto apprezzato nella penisola iberica ma poco conosciuto in quella italica, già da piccolo sognava di dirigere un film. A trentasette anni compiuti il suo desiderio si è finalmente avverato. Il risultato? Un’eccellente opera prima che si è aggiudicata sia quattro Premi Goya – rubando di fatto la scena a Pedro Almodóvar e Roberto Rodríguez che in passato lo avevano diretto in Gli amanti passeggeri e La isla mínima –, che un’ovazione di otto minuti alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Tarde para la ira, titolo originale che non rivela la trama del film come purtroppo accade invece con quello italiano, per vedere la luce ha impiegato molto tempo, fino a quando la sceneggiatura non capitò nelle mani della produttrice Beatriz Botegas che, al contrario dei suoi colleghi, da quell’oscuro e asciutto script rimase affascinata.

Il regista madrileno realizza un film potentissimo: disturbante, crudo e aspro. Come brutali, feroci e implacabili si presentano anche i suoi personaggi, esseri umani in balìa del destino che vivono un’esistenza beffarda e crudele. L’atmosfera cupa e gli squallidi luoghi - bar che trasudano sporcizia da ogni piastrella e malfamati quartieri ai margini di Madrid - fanno inoltre da cornice a una storia da cui nessuno dei protagonisti uscirà vincitore: uno stupefacente dramma dalle tinte noir difficile da dimenticare. Grazie alla dirompente scena iniziale, al pubblico è subito chiaro che assisterne alla proiezione non sarà una passeggiata all’aria aperta, tutt’altro! Sì, perché pur non mostrando immagini scioccanti né spargimenti di sangue, Arévalo non solo riesce a mettere in scena la violenza, ma anche a creare una magistrale tensione filmica.

L’odio, l’amarezza e la rabbia repressa sono gli elementi centrali di La vendetta di un uomo tranquillo, dove il triangolo che lega una donna (Ana), il di lei marito appena uscito dal carcere (Curro), e un terzo uomo che custodisce un segreto riguardante i primi due (Josè), porterà a uno sviluppo del racconto in cui inquietudine e suspense cresceranno in una inarrestabile spirale di eventi. Ciascuna sequenza, ritratta con grande realismo, rende l’opera profondamente credibile agli occhi dell'intera platea. Se la macchina da presa, insinuandosi tra i volti dei protagonisti ne mostrerà ogni minimo cambiamento d’espressione, l’ermetico sguardo di Josè accompagnerà lo spettatore per tutta la durata di questo imperdibile thriller. Strutturato in capitoli, elemento che ricorda il tarantiniano Kill Bill, il film di Arévalo gode di una intensa e fluida narrazione, di una efficace fotografia volutamente sgranata, di una lenta e paziente rappresentazione dell'ira: si può colpire a morte quando si perde la testa, ma anche a sangue freddo, in perfetta lucidità.

Il cast, di cui fanno parte Antonio De La Torre, Luis Callejo, Ruth Díaz e il Premio Goya come miglior attore non protagonista Manolo Solo, contribuisce in maniera imponente all’ottima riuscita del film: 92 minuti da trascorrere con il fiato sospeso, sempre.