Nemesi: una vendetta... diversa

Un po’ come fece per la director’s cut del suo capolavoro I guerrieri della notte (1979), il cineasta californiano Walter Hill inserisce alcune immagini disegnate durante lo svolgimento di Nemesi, che, derivato da una bozza di sceneggiatura risalente addirittura alla fine degli anni Settanta, ne segna il ritorno dietro la macchina da presa, a quattro anni dal sottovalutato action movie stalloniano Jimmy Bobo – Bullet to the head.

Scelta dovuta probabilmente al fatto che prende il via da una graphic novel la vicenda narrata ad uno psichiatra incarnato da Tony Shalhoub ,da una Sigourney Weaver che, costretta in una camicia di forza, apprendiamo essere una chirurga estetica talmente decisa a vendicare la morte del fratello da aver rapito il sicario che lo uccise e da praticargli un intervento per renderlo una donna.
Sicario che, confuso e arrabbiato, cerca, a sua volta, vendetta, manifestando i connotati di una spietata Michelle Rodriguez oltretutto impegnata a portare avanti un rapporto con un’infermiera interpretata dalla Caitlin Gerard vista nell’horror Smiley (2012).

Del resto, neppure nel corso di questa oltre ora e mezza di visione – definita dal regista “un dark fantasy che non ha una connessione reale con la situazione che vivono i transgender” – sembra essere assente una certa atmosfera da film dell’orrore, sicuramente conferita sia dall’idea di base non distante dalle storie riguardanti il mostro di Frankenstein e mad doctor assortiti, sia dalla forte presenza di squallidi ambienti di periferia metropolitana a stelle e strisce che non avrebbero affatto sfigurato né in Taxi driver (1976) di Martin Scorsese, né all’interno dei lavori del poco conosciuto Frank Henenlotter, autore di Basket case (1982) e di Brain damage – La maledizione di Elmer (1988).  

Un aspetto che accentua sicuramente un certo look da b-movie a quello che, concepito in maniera indipendente ed usufruendo di un budget ridotto, appare più come un atipico noir d’inizio terzo millennio che in qualità di puro lungometraggio d’azione, tanto che il movimento e la semina di cadaveri vengono posti in secondo piano rispetto alle numerose sequenze di dialogo.

E proprio questa scelta, man mano che facciamo conoscenza anche con il personaggio di John L’Onesto alias Anthony LaPaglia, finisce, però, per rendere narrativamente fiacco un insieme destinato a lasciar emergere diverse verità con l’avanzare dei fotogrammi ed a permettere tranquillamente intuire che, per poter coinvolgere fino ai titoli di coda lo spettatore, non sia sufficiente qualche colpo di pistola occasionalmente sparato.