‘Non è un Paese per giovani’ secondo l’occhio del 55enne Giovanni Veronesi

Gli italiani che ogni anno abbandonano il nostro malmesso ‘Stivale’ sono più di 100.000, e in gran parte giovani. A causa di un sempre maggior degrado politico, sociale ed economico, quello che un tempo era noto in tutto il mondo come il “Bel Paese” si è trasformato in un luogo da cui fuggire. All’onda irrefrenabile dell’emigrazione verso Stati dove a dispetto di quella della raccomandazione vige la legge della meritocrazia, non appartengono soltanto i cosiddetti ‘cervelli in fuga’, ma anche ragazzi in cerca di un’occupazione dignitosamente retribuita, o coloro che con coraggio inseguono un sogno. Il titolo dell’ultimo lavoro di Giovanni Veronesi, Non è un Paese per giovani, fa pensare che il cinema nostrano si sia finalmente ricordato di trattare un tema tanto doloroso quanto necessario, e invece… Invece il regista toscano vira in una direzione che, con lo spinoso argomento del titolo, ha purtroppo poco a che vedere.

Come in Che ne sarà di noi, Veronesi pone al centro della storia tre protagonisti e un’isola: la mitica patria di Fidel Castro, questa volta, al posto della greca Santorini. Ispirato all’omonimo programma radiofonico condotto dal cineasta stesso e da Massimo Cervelli, incentrato sul racconto di molti nostri compatrioti sulla propria esperienza di espatriati in cerca di un avvenire, Non è un Paese per giovani narra le vicende di Sandro e Luciano, due ventenni che, seppur molto diversi tra loro, decidono di lasciare insieme l’Italia per costruirsi un futuro a Cuba. Lì conosceranno Nora, una coetanea residente da tempo a l’Avana che dovrebbe guidarli all’interno di una realtà a loro ignota. Le cose non andranno però come i due amici speravano…

Il problema maggiore di quest’opera nasce da una sceneggiatura che, piuttosto di focalizzarsi sui problemi inerenti la triste situazione giovanile, si concentra su vicende così rocambolesche da apparire del tutto inverosimili. A partire dalla meta scelta dai personaggi principali - in quanti, in verità, per avere una vita migliore si dirigono a Cuba? -, si assisterà a un crescendo di episodi poco credibili il cui esito - nel bene e nel male - sarà dovuto unicamente al destino: ma sacrificio e merito, che fine hanno fatto? Sì, perché Sandro, Luciano e Nora non somigliano in nulla ai loro tanti connazionali che hanno lasciato Paese e affetti nella speranza di un domani più degno. No, il trio di Veronesi, tra incontri pugilistici clandestini e svariate paradossali circostanze spingerà inevitabilmente gli spettatori a non provare alcuna empatia.

L’intreccio di troppe trame contribuisce inoltre a rendere il film una sorta di calderone ricolmo di ingredienti scotti, e le tante storie - scarsamente approfondite ma piene di cliché - fanno procedere la narrazione a singhiozzo. Le buone interpretazioni di Filippo Scicchitano e Giovanni AnzaldoSara Serraiocco non convince appieno -, e le azzeccate parti affidate a Sergio Rubini e Nino Frassica, non bastano a risollevare le sorti di un’opera che avrebbe potuto rappresentare, e così non è stato, l'attuale e doloroso spaccato delle nuove italiche generazioni. Ed è un vero peccato che neppure la splendida fotografia di Tani Canevari, che ritrae a perfezione colori e paesaggi cubani, sia sufficiente a innalzare il risultato finale di questo mediocre prodotto.

Chissà, forse per mettere in scena i seri ostacoli quotidiani con cui si scontrano i nostri giovani, la macchina da presa dovrebbe essere nelle loro mani. Già, chissà...