Sole, cuore, amore

Sin dai tempi dell’opera prima Velocità Massima (2002), Daniele Vicari si è sempre speso con il suo cinema nel tentativo di rappresentare il nostro sociale, la società contemporanea, facendo emergere in un modo o nell’altro le storie dei giovani protagonisti di oggi (Il passato è una terra straniera) e i temi d’attualità più scottanti (La nave dolce, Diaz – Non pulire questo sangue). Non fa eccezione l’ultima opera dal titolo Sole, cuore, amore (omaggio palese proprio alla lieve ballata sull’amore racchiusa nel testo dell’omonima canzone di Valeria Rossi del 2001), parabola drammatica di una giovane donna (la Eli di una sempre intensa e brava Isabella Ragonese) costretta a dare il tutto per tutto pur di portare avanti la propria felice ‘baracca’, ovvero una vita fatta di pochi soldi, tanti pensieri, un marito e quattro figli.

Il suo lavoro di barista, distante ogni giorno quattro ore di viaggio Torvaianica-Roma tra andata e ritorno, e reso ancor più faticoso da un datore di lavoro non particolarmente ‘elastico’ e da uno stipendio di certo non brillante, è infatti l’unico introito che permette ad Eli di mantenere la famiglia che ha voluto e costruito con grande coraggio e determinazione. Una vita di estreme difficoltà eppure condita di tanti sorrisi, e dell’amore indefesso che Eli mette in tutto ciò che fa: nel suo ruolo di compagna, madre, amica, e anche in quel lavoro apparentemente così poco gratificante, che però a lei piace e in cui cerca di dare sempre il meglio. Nonostante tutto. Nonostante la stanchezza cronica, la sveglia fissa alle 4.30, i ritardi perenni, e quella sensazione di non poter pensare a sé stessa mai, nemmeno per un momento, nemmeno di fronte a un ‘vero’ problema di salute. A darle conforto e un aiuto nel quotidiano c’è però, oltre al solidale marito, anche la storica amica Vale, ballerina e performer con un quotidiano più ‘libero’ da responsabilità ma altrettanto incerto, segnato dalla mancanza di una figura paterna e da un rapporto a dir poco conflittuale con la madre. Due storie di donne alle prese con precariato, difficoltà economiche, e una grossa mole di aspettative disattese. Due storie di donne diverse, accomunate da un vivere alla giornata estenuante, ma anche dal conforto della loro solida amicizia.

In questa storia estrapolata dalla nostra realtà sociale incerta, di giovani adulti ridotti allo stremo delle forze pur di mandare avanti e costruire - a fatica - le loro vite, di periferie geografiche che diventano periferie esistenziali, Daniele Vicari riesce a trovare il suo fuoco solo a metà. Nel volto e nel corpo di Eli, in quel sorriso caldo e in quel cappotto rosso (sempre lo stesso) che la accompagna ogni giorno da Torvaianica a Roma lungo una tabella di marcia estenuante, Vicari costruisce in maniera graduale e poco alla volta quel senso di difficoltà estrema ed estrema abnegazione in cui la protagonista si trascina (letteralmente) giorno dopo giorno. Una vita di estremi sacrifici ed estreme problematicità illuminata ciò nonostante da una joie di vivre quasi inspiegata, e proprio per questo davvero ammirevole.

In questa linea narrativa la plausibilità della storia e la solarità endemica della Ragonese bastano a concretizzare il quadro famigliare descritto, il percorso – perennemente - a ostacoli e inciampi della volitiva Eli. Ma quando la storia muove, invece, sul terreno incerto della vita di Valentina (Eva Grieco) il Sole, cuore, amore di Vicari perde il suo fuoco, si fa più nebuloso, smarrisce il suo senso incuneandosi nelle serpentine narrative della reiterazione e dell’estetica fine a sé stessa. Di quegli spettacoli e quella vita da performer portati avanti con una determinazione che sembra trovare risposta nella ricerca di una identità e nella ribellione alle proprie origini, la storia di Valentina non sembra fare infatti più di tanto il paio con quella di Eli, né trovare un nesso logico che possa accomunarle nella drammaticità di una catarsi finale. In soldoni, tanti buoni spunti e un punto segnato solo in parte, per parlare ancora una volta di quel precariato contemporaneo (fisico e mentale) che rallenta, sfinisce, e risucchia poco alla volta ogni energia vitale.