Venezia 74 - Lean On Pete: Andrew Haigh e la parabola melanconica di un’adolescenza interrotta

Charley Thompson (un bravissimo Charlie Plummer) non ha nemmeno sedici anni e già una lunga serie di problemi da fronteggiare. Assieme al giovane e scapestrato padre si è trasferito da poco a Portland, dove cerca in qualche modo di dare una svolta alla propria vita, trovare un lavoro, e affrancarsi da quella solitudine che dalla perdita della madre in poi non lo ha mai abbandonato. Un passato doloroso, stemperato solo dal ricordo di una zia materna (Margy) che per un breve tratto d’infanzia era stata punto di riferimento .

L’incontro con l’allenatore di cavalli da corsa Del sarà poi decisivo. Imbarcatosi in un lavoro che sente di apprezzare e spinto da una naturale vocazione per i cavalli, il giovane Charley inizierà a seguire Del nelle corse, e affezionandosi in particolar modo a Lean on Pete, un quarter horse già ‘vecchio’per quel business (cinque anni) e quindi in procinto di correre le sue ultime gare. Sarà un affetto istintivo, subito raccolto e coltivato con cura, quello che Charley maturerà per il cavallo, divenuto presto un vero amico del cuore in grado, in parte, di colmare il vuoto affettivo e le numerose sfide poste a ostacolo di quella giovane vita.

Lean on in inglese indica l’atto di appoggiarsi, aggrapparsi e, per associazione, quindi anche fare affidamento. Titolo del film scritto e diretto da Andrew Haigh è invece Lean On Pete, ovvero il nome del bellissimo quarter horse a cui la vita di Charley si legherà a doppio filo. Il regista inglese (45 anni, Weekend) affida al cavallo coprotagonista  il titolo del suo film, al fine di veicolare il senso di cui sopra, spiegare come sia proprio un cavallo capitato per caso sulla strada di Charley a diventare suo punto di riferimento. Ma il vero cuore del film sta in realtà in questa adolescenza interrotta che cerca di riconciliarsi con il suo passato, le perdite che ci sono state e quelle che ci saranno, conservando a fatica nel proprio cuore la memoria di ciò che riesce a toccarlo nel profondo: il ricordo di una zia affettuosa, l’amore per un animale che diventa amico, confidente silente, alter ego.

Il film di Haigh parte in quinta sulla marcia dell’emotività, ingranando subito molto bene grazie a quella che è la cifra stilistica di questo regista (un realismo ricavato lentamente dai dettagli e dalla costante prossimità agli occhi e al cuore delle storie che narra), e indugiando a lungo sulla bravura espressiva del giovane protagonista Charlie Plummer. Lavorata tutta in sottrazione, la sua è una di quelle interpretazioni che restano. Charley e la sua corsa solitaria, Charley in compagnia di Lean On Pete, Charley al fianco del padre, Charley in cerca della zia e infine Charley in balia e alla ricerca di sé stesso sono ciò che resta, ciò che sovrasta, e anche ciò che in qualche modo ‘mangia’ parte delle imperfezioni che il film possiede, come ad esempio una proporzione imperfetta tra le parti della storia, l’accumulo a tratti indigesto di elementi ‘drammatici’, una messa a fuoco non perfetta del racconto e delle sue ramificazioni. Imperfezioni che hanno un peso specifico nel complesso del film ma che non intaccano del tutto la sua forte, determinante componente emotiva,  costruita (come accadeva anche nei lavori precedenti del talentuoso regista inglese) attorno a una luce di realismo intensa, e sulla fisionomia di un protagonista con talento da vendere.