Venezia74: "Mektoub, My Love: Canto uno" - Abdellatif Kechiche in La vita di Amin

Amin (un bellissimo e bravo Shaïn Boumedine) studia medicina a Parigi, ma non è la sua strada. Ama molto di più la fotografia e il cinema, e infatti è sempre in cerca di ispirazione per le sue sceneggiature. Durante le vacanze estive torna nella sua città d’origine – affacciata sul mar Mediterraneo nel sud della Francia – e ritrova tutti i suoi vecchi luoghi e amici. Il locale di famiglia, il bar, la spiaggia, la migliore amica Opheliè, il cugino Tony, una coppia di ragazze francesi in villeggiatura, i volti noti di sempre. Tutto attorno a lui si muove con la frenesia tipica dei vent’anni e anche se il mondo femminile lo incuriosisce dannatamente, Amin non riesce a far altro che osservare, fotografare, lasciarsi rapire dalle voci e dalle immagini del mondo che lo circonda. Divenuto presto osservatore e confidente, il ragazzo continuerà a osservare i protagonisti di quell’estate vibrante con distacco quasi platonico, un’estate raffigurata da corpi sempre in movimento e da istinti sempre vivi.  

Per la Francia in concorso a Venezia 74, Abdellatif Kechiche presenta uno dei film più attesi di questa edizione del Festival, ovvero Mektoub, My Love: Canto uno, liberamente ispirato al romanzo di François Bégaudeau, dal titolo La blessure, la vrai. Con quest’opera fiume di 180 minuti Kechiche conferma la sua capacità registica, la profondità del suo sguardo contemplativo, funzionali soprattutto nel tradurre per immagini film che (come accadeva ne La vita di Adele) racchiudono un esistenzialismo esasperato, che corrono nella profondità dell’emozione piuttosto che lungo la cronologia temporale. E il suo Cinema, ancora una volta, diventa uno sprofondare realissimo nei meandri dei luoghi, dei personaggi, dei momenti che si dispiegano dinanzi ai nostri occhi. La spiaggia, la discoteca, il ristorante, ogni luogo e ogni tempo si dilata a macchia d’olio fino a inglobarci nella verità estemporanea di quella narrazione mentre, scena dopo scena, siamo rapiti nei piccoli e grandi risvolti della storia. Le scene sono un fiume in piena di movimento, mentre la prossimità dei corpi, la spiccata promiscuità sessuale, traducono tutto ciò che lo sguardo, e la percezione di Amin catturano, registrano.

Kechiche ricalca dunque i suoi passi e torna a utilizzare un linguaggio cinematografico immersivo che nella sua estensione temporale restituisce la fluidità, la veridicità del tempo reale. Partecipe nei dialoghi, nei movimenti, e perfino nelle emozioni, lo spettatore entra di peso nella dimensione del film senza, quasi, nemmeno rendersene conto. Capelli, occhi, sederi, corpi sinuosi, sono tutti legati assieme da quell’attenzione al dettaglio che descrive e restituisce l’immagine di un mondo intero. Come un libro adorato di cui si divorino le pagine, allo stesso modo il film di Kechiche diventa un racconto magnetico, travolgente, appassionante che non si vorrebbe mai lasciar finire. La regia sapiente, gli splendidi riverberi di luce di una fotografia magica, la cesellatura funzionale delle ‘finestre’ narrative, e l’atmosfera in poetica sospensione in cui Kechiche immerge la sua opera, sono solo alcuni degli elementi che sanciscono l’ampiezza del respiro narrativo e la portata emotiva di Mektoub, My Love: Canto uno.

Il Mektoub, termine arabo volto a rievocare la potenza di un destino già scritto, di un fatalismo incontrovertibile, è dunque titolo e anima di questo film che traduce con estrema maestria un materiale quasi etereo, difficilmente narrabile con un altro linguaggio filmico. Fratello diretto de La vita Di Adele il Mektoub, My Love: Canto uno è in soldoni La vita di Amin, un’opera che si abbraccia appieno o si rifiuta. Se si abbraccia, però, si viene trasportati nella circolarità di un racconto che non ha sostanzialmente mai fine, ma che rappresenta il ciclo continuo: dell’amore, della vita, dell’esistenza umana.