Wonder: la forza di essere diversi.

Wonder è tratto dall’omonimo libro scritto da R.J. Palacio. L’idea del romanzo nasce, come dichiarato dalla stessa scrittrice, da un senso di colpa. Quello provato dall’autrice quando, incontrando un bambino con una malformazione facciale in una gelateria si ritrasse da lui, fuggendo via. Da quel poco edificante episodio scaturì la realizzazione del libro, che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo, e che narra di Auggie Pullman, un bambino di New York nato con una gravissima malformazione facciale, che deve affrontare ad undici anni, il suo primo anno di scuola avendo studiato  fino a quel momento a casa con la madre come maestra. E lo fa, raccontando il punto di vista del bambino.

Il libro, e quindi anche il film, è il racconto che Auggie fa delle sue relazioni con il mondo esterno e delle reazioni ed interazioni con le persone a lui più vicine. La madre, il padre, la sorella e naturalmente l’universo scolastico, che rappresenta la sua prima interazione con il mondo esterno. Auggie, che fino a quel primo giorno di scuola media aveva interposto tra sè e il mondo un casco di astronauta (il suo sogno è affrontare un giorno viaggi interstellari) deve affrontare la comunità, con tutte le difficoltà e drammaticità del caso. Una impresa titanica, potrebbe sembrare, ma, come dice lo stesso Auggie:  “ Non ho sconfitto la Morte Nera né niente del genere, ho solo superato l’anno scolastico.”

Il punto di vista di Auggie è amaro e disincantato, ironico e doloroso. Sentimenti contrastanti che attraversano tutto il film e connotano l’atmosfera con colori diversi e tonalità digradanti. Questo è il segreto dell’opera del regista Stephen Chbosky, (nel suo curriculum ci sono varie sceneggiature con la Disney). Il registro, pur nella drammaticità di ciò che si racconta, non scade mai nell’eccessiva commiserazione e pietà. Commuove naturalmente la vicenda del piccolo Auggie, ed i patimenti della sua famiglia, ma il tono si mantiene sempre su un livello di oggettività narrativa che rende il tutto molto godibile.

Julia Roberts e Owen Wilson sono i genitori di Auggie, ben calati nel ruolo, soprattutto la Roberts conferma una maschera drammatica di altissimo livello. Jacob Tremblay è invece il piccolo Auggie, giovane rivelazione già visto in Room.

La mano di Chbosky è fluida ed equilibrata, senza iperboli e sensazionalismi, edificante come edificante il messaggio. Un film all’antica, e forse, proprio per questo, da vedere e far vedere.