Senza Fiato di Raffaele Verzillo: al cinema Francesca Neri e Fortunato Cerlino in bianco e nero, per una storia campana “fuori dalla camorra

Senza Fiato, di Raffaele Verzillo, regista casertano, viene presentato in anteprima nazionale il 26 settembre in apertura del Terre di Siena Film Festival. Il film, scritto da PierFrancesco Corona,  interamente indipendente e a basso budget, ambientato nella provincia di Caserta, racconta un pezzo di vita di persone campane non coinvolte dalla camorra, ma dalla crisi del sistema e inevitabilmente, da quella esistenziale.
Girato due anni fa, solo quest’anno uscirà nelle sale in collaborazione con Distribuzione Indipendente con una serie di eventi che coinvolgono parte del cast (6 ottobre a Caserta, 7 ottobre a Capua, 12 ottobre a Roma, Cinema Farnese, 3/11 Bari e poi Torino, Milano, Bologna).

Francesca Neri, Fortunato Cerlino, Antonia Truppo, Antonio Friello, insieme a Chiara Baffi, Giuliana Vigogna, Nicola Di Pinto e Antonio Milo, compiono percorsi che si intrecciano e si snodano, in un mondo in “bianco e nero”, con una particolarità, racconta Verzillo descrivendo le scelte fatte insieme al direttore della fotografia Rocco Marra: “Affrontare, oggi, nell’epoca del colore dominante, un progetto in B/N è un’impresa ardua da immaginare. La fotografia del film è stata fonte di studio, si è andato a soffermare su Nebraska di Alexander Payne. La fotografia del film, di Phedon Papamichael, DoP di origini greche, reca in sé tutta la sua cultura europea e pone la fotografia  al servizio della storia senza eccessi né compiacimenti. E così è stato per Senza Fiato: il tentare di rendere l’immagine semplice, asettica, senza compiacimenti, affinchè non disturbasse, anzi desse profondità, alle storie dei personaggi. La chicca è quella relativa ai “cieli” di cui siamo andati a studiare la “resa”,  in modo da esporre tutti gli esterni in funzione del risultato ottenuto da   Papamichael…in modo che Caserta, per 88 minuti, si specchiasse nel cielo del Nebraska!

Questa la trama: Matteo ha 45 anni. È un uomo perso, sconfitto dalla vita e da un Paese che ha ucciso la sua generazione negandole le condizioni, le opportunità, i sogni. Insieme a tanti altri come lui, Matteo si ritrova senza ideali, senza ideologie, senza la possibilità di vedere realizzate le sue abilità, concretizzata quella forma di vita che avrebbe voluto costruire. E senza più speranza. Così che decide di andare via. Ma non via dal suo Paese. No. Via dalla vita. Non ha più ragione per restare, non c’è un motivo per continuare. Lui non lo vede. Nel momento in cui tenta di attuare il suo proposito, però, gli sorge un dubbio: - E se invece ci fosse un motivo per restare, se fossi io che non riesco a vederlo? Così, prima di andare, forse con lo scrupolo di un vigliacco, con la drammatica condizione di essere inadatto tanto alla difficoltà della vita quanto al coraggio della morte, chiede alle persone a lui più vicine, più care, se c’è qualcosa che lui non ha considerato, qualcosa che lui non vede, chiede agli altri una ragione per restare, per non uccidersi.