Abbiamo un problema, Tom.

You are a child's play thing!” è probabilmente una delle battute più drammatiche pronunciate da Tom Hanks nella sua carriera di attore. “Sei soltanto un giocattolo!” ricorda nei panni di Woody della saga di Toy Story al povero Buzz Lightyear convinto invece di essere un vero astronauta, eroe spaziale dalle armi ad elevata tecnologia. Lo fa dando la voce a Woody lo sceriffo pupazzo della saga che tanta fortuna ha portato alla Pixar ed al suo regista John Lasseter. Voce e sagoma quelle invece prestate al bigliettaio di Polar Express, il film di animazione di Robert Zemeckis, nel quale, utilizzando il  motion-capture, trasporta  le espressioni di Hanks   in un altro pupazzo di carte e colori.

Non a caso ho citato per primi due film nei quali l’attore appare solo con la propria voce o tramutato in un’animazione. Se c’è una peculiarità che sin dagli inizi  ha caratterizzato la carriera dell’attore nato a Concord (California) sessanta anni fa, manco a dirlo, è proprio l’estrema poliedricità della sua arte drammatica.  Specialità che è tipica ed usuale degli attori made in USA, ma che in Tom raggiunge la nobiltà della esemplareità. Dal quasi esordio televisivo, nel 1982, in un episodio della decima stagione di Happy Days ( già non c’era più  Ron Howard che poi lo vorrà come protagonista di ben 5 dei suoi film)  fino agli ultimi film di cui uno (Inferno sempre  con Ron Howard dove veste per la terza volta i panni del professor  Robert Langdon nato dalla penna di Dan Brown), Hanks ha rivestito ruoli drammatici e più leggeri, mantenendo sempre un elevatissimo livello di professionalità ed espressività, ma, soprattutto, condendo le sue performance con una cifra peculiare e personalissima. Doti, peraltro, imprescindibili per affrontare ruoli e dare corpo a personaggi attorno ai quali ruota tutta la vicenda che si racconta.

Basti pensare alla sequenza di nove film, tra il 1993 ed il 2004 (Philadelphia, Forrest Gump, Apollo 13, Salvate il soldato Ryan, C'è posta per te, Il miglio verde, Cast Away, Era mio padre, The Terminal), peraltro intervallato da un’altra opera ( Prova a prendermi) con ruolo da coprotagonista, nei quali Hanks domina in lungo e largo la scena, assumendone la centralità e diventando la pietra angolare che sorregge l’intera sceneggiatura. E questo non accade solo in “Forrest Gump” – che sembra addirittura scritto pensando a lui – ma anche in tutti gli altri film citati si ha la sensazione che si sarebbe trattato di qualcosa di profondamente  diverso se gli interpreti fossero stati altri.  

Antieroe per eccellenza o, per essere più precisi, eroe per caso, pensiamo per esempio anche al più recente Captain Phillips - Attacco in mare aperto del 2013 - anche nei ruoli più cavallereschi mantiene quella maschera da americano medio, pronto a tornare, svestiti i faticosi abiti dell’eroe, ad un comodo divano sul quale sgranocchiare pop corn e gustarsi una sonnecchiante partita di baseball. Ma è proprio a quel ragazzone sbarbatello, il figlio dei vicini che ritorna dal college, al quale l’America si andrebbe a rivolgere con un “Abbiamo un problema, Tom!”, parafrasando la nota battuta che pronuncia nei panni del Capitano Lovell a bordo dell’Apollo 13.

Ed è quello che fa nei panni di James Donovan nel Ponte delle spie,  un affermato avvocato di Brooklyn che si trova proiettato in una spy story in piena guerra fredda – cocciuto e caparbio nel portare a termine la sua missione – con un solo pensiero nella testa, quello di tornare a casa e dormire. Con una venatura da commedia più leggera ma una cifra drammatica più spessa, lo si potrebbe accostare, proprio per queste sue naturale propensione a rappresentare l’uomo comune, ad un grande del passato come Jack Lemmon, anche se a quest’ultimo, più schivo anche se più comico e più consono ad un lavoro di coppia,  sono mancate le possibilità di cimentarsi in ruoli fortemente drammatici come, ad esempio,  Tom in “Philadelphia”. Alla malinconia, però,di Lemmon, Hanks contrappone la positività del (perenne) american boy che anche nelle situazioni più disperate (Apollo 13, Salvate il soldato Ryan, Cast Away)  confida nella certezza che tutto si risolverà per il meglio.

Amato dai registi più importanti della sua generazione (5 film con Ron Howard, 4 con Spielberg, 3 con Zemeckis ma ha lavorato anche con De Palma, Demme, Darambot, Ethan Coen, Greengrass e con Eastwood nel film di prossima uscita Sully), per non dimenticare le due commedie romantiche dirette da Nora Ephron (Insonnia d’amore e C’è posta per te), Hanks è sicuramente molto amato dai produttori visti gli incassi – soprattutto quelli a cavallo del secolo scorso – che i suoi film hanno registrato.

Versatile nella sue molteplici attività, è anche regista di due film (Music Graffiti e L’amore all’improvviso – Larry Crowne), produttore cinematografico e televisivo (Band of Brothers e The Pacific con l’amico Spielberg), addirittura, sviluppatore di un applicazione dal nome "Hanx Writer" , che trasforma uno smartphone in una macchina da scrivere (oggetto di cui Tom è una appassionato collezionista). Una carriera luminosa la sua, costellata da riconoscimenti professionali di altissimo livello (2 Oscar per lui, oltre una miriade di altri premi) che sembrano non aver scalfito  lo spirito fanciullesco e perennemente sorpreso del bambino di Big, diventato  improvvisamente adulto alle prese, non senza un misto di divertimento e timore, con qualcosa più grande di lui.