Fai bei sogni: Marco Bellocchio e cast raccontano il loro Massimo Gramellini

"Ho scritto il libro durante un’estate freddissima, pioveva sempre e la sera, quando spegnevo il computer, mi sedevo e pensavo se la storia sarebbe mai potuta interessare a qualcuno, perché la letteratura è piena di racconti di orfani. Di conseguenza, il suo successo mi ha preso totalmente alla sprovvista, in quanto non immaginavo che si sarebbe creata questa magia con il pubblico, che, evidentemente, ha intercettato il dolore di accettare ed affrontare una perdita. Io, comunque, ho un carattere diverso dal Massimo che ho raccontato su carta, perché sono più  ironico, leggero, forse anche più scemo, mentre Valerio lo interpreta come personaggio taciturno e pensieroso. C’è nel film una scena in cui Miriam Leone dice a lui ‘Massimo, ogni tanto potresti anche dire qualcosa’, mentre con me, di solito, le donne dicono ‘Massimo potresti stare zitto ogni tanto?’ perché sono un chiacchierone. Quindi, è chiaro che quello che vedete nel film non sono e non devo essere io, ma è un archetipo, un orfano che non accetta di fare i conti con questo strappo. Del resto, il dolore che ti da la perdita di una madre è diverso da tutti gli altri, perché qualunque strappo puoi immaginare di sostituirlo, mentre, in questo caso, già da bambino sai che l’amore che stai perdendo non potrà mai essere sostituito, nessun essere al mondo ti potrà mai amare come una madre”.

In collegamento tramite Skype, parla alla stampa romana il giornalista e scrittore Massimo Gramellini in occasione della presentazione del film di Marco BellocchioFai bei sogni che, in arrivo nelle sale cinematografiche il 10 Novembre 2016 e comprendente nel cast Barbara Ronchi, Roberto Herlitzka, Miriam leone, Guido Caprino, Fabrizio Gifuni, Pier Giorgio Bellocchio e i giovanissimi Dario Delpero e Nicolò Cabras, è tratto dal suo omonimo romanzo e vede impegnato ad interpretarlo Valerio Mastandrea, il quale precisa: “Non ho usato nessuna tecnica in particolare per interpretare Massimo, e, proprio per l’assenza di essa, mi sono impedito di approfondire l’aspetto biografico del personaggio che poi il film avrebbe raccontato. Non ho avuto paura perché mi sono concentrato sul film. Già quando ho dovuto prendere parte a Rugantino, spettacolo teatrale che avevano interpretato in precedenza e in epoche diverse attori molto più importanti di me, alla richiesta di Garinei di guardare il video per farmi un’idea del ruolo ho risposto che lo avrei cercato sul copione e che lo avrei fatto a modo mio. Sapevo che non avrei potuto interpretare Massimo Gramellini vero, non solo per provenienza territoriale ma anche e soprattutto per fede calcistica. Nonostante le nostre due squadre supportate come una vera malattia, c’è qualcosa che ci fa assomigliare”.

Considerazioni su cui il regista aggiunge che, per quanto riguarda la colonna sonora del film, avendo lui una formazione prevalentemente operistica ed essendo molto ignorante per ciò che riguarda la musica moderna, si è fatto aiutare da giovani collaboratori e dai temi composti da Carlo Crivelli; ma solo dopo aver osservato: “In un certo senso, questo film è fedele al testo, in quanto cerca di interpretarne quelli che sono i sentimenti basilari. Il corpo del libro, i temi e tutta una serie di episodi sono stati rielaborati perché il linguaggio del cinema procede per spazio e tempo completamente diversi da quelli della letteratura. Per esempio, il finale c’è nel romanzo, ma in un contesto completamente diverso. Belfagor, poi, è un personaggio molto importante del libro, che noi, però, abbiamo sconnesso e strutturato cinematograficamente in modo differente da quello che si legge lì”.

Anticipando la Bérenice Bejo di The artist che veste nel lungometraggio i panni della Elisa destinata ad entrare nella vita del protagonista: “Io non ho letto il romanzo, ma sono d’accordo con quanto è stato detto da Marco. La cosa che ho trovato straordinaria in questo film sono gli sguardi tra il bambino e la madre, frequenti e con poche parole. Tutte queste immagini vengono proprio da Marco, dal suo modo di raccontare senza necessariamente passare attraverso il dialogo. Come mette la macchina da presa all’altezza del bambino, le inquadrature più strette e quelle più larghe, ognuna di esse è secondo me colma di poesia. Pur non avendo letto il libro, sono rimasta sconvolta dall’amore reciproco tra questo bambino e la madre, essendo anche io madre di due figli. È una storia che mi ha suscitato fortissime emozioni”.