JACQUES TATI e il suo poetico, maldestro alter ego Monsieur Hulot

Il memorabile Monsieur Hulot, un tipo alto e allampanato dall’andatura strana e flessuosa, è all’apparenza più simile a una figura anglosassone che non francese: la pipa sempre in bocca, il cappello calcato sulla testa, l’impermeabile fuori misura e il grande ombrello sono le caratteristiche che, proprio come accadde con la bombetta e il bastone da passeggio per Charlot, diverranno ben presto i suoi segni distintivi. Il meraviglioso personaggio di Hulot nasce dalla mente geniale dell’artista Jacques Tati, che nel 1953 fu consacrato alla fama mondiale grazie al capolavoro Le vacanze di Monsieur Hulot, da lui stesso scritto, interpretato, e diretto.

Sconosciuto alle nuove generazioni, poco ricordato da quelle vecchie, Jacques Tati – all’anagrafe  Jacques Tatischeff – nasce nel 1907 a Le Pecq, nell'Île-de-France. Il sangue che gli scorre nelle vene è un fertile mix: il nonno paterno, il conte Dimitrij Tatiscev morto al Bois de Boulogne in circostanze misteriose, era generale dell’esercito russo e diplomatico militare presso l’ambasciata zarista a Parigi; il padre, Georges- Emmanuel Tatischeff, direttore della ditta di cornici antiche di proprietà del suocero, era nato a Parigi; la madre, Claire Van Hoof, aveva invece origini italo-olandesi.

Questo melting pot culturale che contrassegnava la “casata” Tatischeff contribuì a far crescere in Tati la curiosità verso l’essere umano, ma nonostante la vita agiata e le opportunità da essa derivanti, il giovane Jacques non fu mai uno studente modello, e all’età di sedici anni abbandonò  la scuola per andare a lavorare nella fabbrica del nonno materno. L'innata passione per lo sport lo portò a praticare la boxe, il tennis, il rugby, ed infine l'equitazione che nel 1927 lo aiutò ad entrare nello storico reggimento dei Dragoni francesi. La sua prima apparizione sul palcoscenico avvenne nel 1931 nel corso di uno spettacolo di varietà organizzato dalla sezione Rugby del Racing Club de France, dove Tati si esibì in veste di mimo incarnando personaggi sportivi, quali: un cavallerizzo, un tennista, un ciclista, e molti altri. Il suo numero, chiamato Impressions Sportives, ottenne un così grande successo che Jacques decise di lasciare il mestiere di corniciaio per dedicarsi all’arte della pantomima, provocando la reazione del padre che, furibondo all’idea di un figlio “saltimbanco”,  gli tagliò i viveri.

Non bisogna dimenticare il periodo, che era quello della Grande Depressione, quando il crollo della Borsa di Wall Street del 1929 (i famosi giovedì e martedì neri) ebbe effetti recessivi devastanti. La crisi economica, che si diffuse velocemente fuori dagli Stati Uniti d’America, inizialmente andò a colpire quei Paesi che avevano stretti rapporti finanziari con gli USA, a partire dagli Stati europei aiutati dall'America dopo la Prima Guerra Mondiale - Regno Unito, Austria e Germania -,  per poi trascinare nella palude anche Francia e Italia. Durante quegli anni furono molti i lavoratori licenziati a causa della chiusura di aziende e fabbriche, e il coraggio dimostrato da Tati nel rinunciare a un “posto fisso” per inseguire i suoi sogni la dice lunga sull’uomo che sarebbe diventato: un fantasioso trapezista senza rete.

A partire dal 1932, oltre a lavorare nei più rinomati music-hall delle maggiori capitali europee, Tati, come di seguito specificato, iniziò ad occuparsi di cinema in qualità di attore, sceneggiatore e regista:

1932: Oscar, champion de tennis di Jack Forrester, interpretato da Tati (cortometraggio andato irrimediabilmente perduto); 

1934: Bruto cercasi (On Demande Une Brute), cortometraggio di Charles Barrois, scritto e interpretato da Tati. Il mimo francese considerò questo film un fallimento, e tentò con ogni mezzo di impedirne l'uscita. 

1936: Allegra domenica (Gai Dimanche!) , cortometraggio di Jacques Berr, scritto e interpretato da Tati, in cui si scorgono i primi cenni del futuro M. Hulot;

1936: Cura il tuo sinistro (Soigne Ton Gauche), cortometraggio di René Clément, interpretato da Tati. In questo corto appare per la prima volta la figura del postino François, qui interpretato da Max Martel. 

1938: Retour à la terre, cortometraggio di Jacques Tati (film andato purtroppo perduto).

Dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, e l’occupazione di Parigi da parte delle truppe tedesche avvenuta il 14 Giugno 1940, Tati - congedato dall’esercito un mese prima dell’invasione nazista - continuò a calcare le scene parigine con il suo Impressions Sportives. Nel 1942, rifugiatosi  nella cittadina di Sainte-Sévère-sur-Indre, scrisse la sceneggiatura di La scuola dei portalettere (L'École des Facteurs), che nel 1946 sarebbe diventato un cortometraggio da lui stesso diretto. Un lavoro, questo, dove Tati interpreta il personaggio di François, il postino-ciclista che nel 1949 tornerà come protagonista di Giorno di Festa (Jour de fête), il suo primo lungometraggio in cui si intravede il germe di tutta la sua opera filmica. Nel contempo prenderà anche parte come attore in Solo una notte (Sylvie et le Fantome) e Il diavolo in corpo (Le Diable au Corps), di Claude Autant-Lara.

Ma qual è il mondo cinematografico di Tati?

Degno erede di Max Linder, attore francese dei primi del novecento, Tati, al pari di Charlie Chaplin e Buster Keaton, è stato un artista completo dal generoso talento, un grandioso umorista che interpretava, scriveva e dirigeva i propri progetti. In un’epoca in cui il sonoro aveva spazzato via il cinema muto, egli reinventò un genere andato ormai perso, lo slapstick: comicità elementare che sfrutta il linguaggio del corpo e si articola intorno a gag tanto semplici quanto efficaci. L’intero lavoro cinematografico di Tati è infatti segnato dalla quasi totale assenza di dialoghi e dalla presenza di surreali immagini visive, ma gli elementi distintivi del mimo francese sono dati soprattutto sia da un utilizzo incredibilmente innovativo dei suoni, che dalla critica feroce  – nascosta in ogni sketch – verso una modernità che annichilisce la personalità degli uomini. I mali di una società materialista ossessionata da tecnologia e consumismo, e l’oppressione ambientale che tutto ciò comporta, sono i temi portanti che rendono il cinema di Tati estremamente attuale. La sua capacità di osservazione e di analisi appare oggi strabiliante: nei suoi film ogni minimo dettaglio – curato al limite del maniacale  –  riflette le nevrosi a cui, in nome del progresso, gli individui si sono sottomessi. Ad interrompere questo ciclo di disumanizzazione ci pensa però Monsieur Hulot che, come un extraterrestre arrivato da chissà quale lontano pianeta, porta una ventata di caos, anarchia e fantasia, capovolgendo e travolgendo la vita di chi gli orbita intorno.

Finita la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti, con il Piano Marshal, supportarono con forza la ricostruzione della Francia. Tati, in Giorno di Festa, visto in suolo francese da circa 7 milioni di spettatori, racconta la storia di un postino che, in un piccolo centro rurale – quel Sainte-Sévère dove il regista aveva soggiornato a lungo  –  si impegna ad emulare i “colleghi” americani, ottenendo... risultati catastrofici. Il film, oltre a rappresentare l’ambivalenza del rapporto con il  liberatore, sottolinea come la voglia di maggior produttività la si paghi con la perdita del contatto fisico e umano. Premiato come miglior sceneggiatura alla Mostra Cinematografica di Venezia nel 1949, e ottenuto il riconoscimento del Gran prix du Cinéma français nel 1950, Giorno di Festa rimane ancora oggi il più grande successo commerciale di Tati.

Pressato dal suo produttore a girare altre avventure del “postino pasticcione”, il grande cineasta rispose picche, e nel 1953 regalò al pubblico mondiale Le vacanze di Monsieur Hulot, dove il portalettere François è rimpiazzato da un maturo e stralunato scapolone, estremamente educato e riservato, al punto che non se ne conoscerà mai il nome di battesimo. Uno spilungone che, aggirandosi indisturbato per la stazione balneare di Saint-Marc-sur-Mer, creerà ovunque scompiglio: Monsieur Hulot. Questo stravagante gigante (Tati era alto quasi 1.90) dal corpo inclinato in avanti perennemente in procinto di cadere, con pantaloni sopra la caviglia e buffi calzetti a righe, nella memoria degli spettatori rimarrà scolpito per sempre. Hulot è un personaggio che sovverte gli schemi, frantuma le regole, si ribella ai riti collettivi sconvolgendone  tempi, consuetudini e ritmi. Il suo fischiettare per strada è un atto di vera anarchia poetica, e fu lo stesso Tati a spiegare che: “La gente è triste. Nessuno fischietta più per strada. Sarà sciocco, ma mi piacciono le persone che fischiettano per strada ed io stesso lo faccio. Credo che il giorno in cui non potrò più fischiettare per strada sarà una cosa gravissima”. Grazie a Hulot si riscoprono luoghi perduti nel tempo e schiacciati dall’industrializzazione, si respira quell’aria di libertà ormai dimenticata, si torna a guardare all’individuo e non più alla sua produttività. Lo spazzino di Mon Oncle, che invece di ripulire la via da un mucchio di foglie secche, usa il suo tempo –  e non "perde"  il suo tempo –  parlando alle persone, è un brillante elogio alla lentezza: unica soluzione possibile al disastro provocato da un mondo eternamente in fretta che ha cancellato qualsivoglia rapporto umano. 

L’amore che Tati nutriva verso i bambini e gli animali, gli unici a suo parere a conservare la spontaneità e la fantasia di cui madre natura ci ha dotati, si rispecchia nell’animo buono di Hulot, che, nel successivo Mio Zio (Mon Oncle) del 1958 (Premio della Giuria di Cannes nel 1958, e Oscar nel 1959 per il Miglior Film Straniero), non solo duetta ogni mattina con un canarino cinguettante di allegria, ma fa vivere al suo nipotino momenti di pura gioia. Questa pellicola, proprio come il suo protagonista difficile da rinchiudere in rigidi e asettici schemi, è un incredibile balletto danzato sulle note della fantasia: una micidiale accusa al vetriolo sull’infernale percorso intrapreso dalla moderna società. E’ vero, Tati potrebbe forse sembrare un conservatore, ma in realtà altro non ha fatto se non evidenziare come il progresso fine a se stesso non abbia alcun senso. I rumori assordanti prodotti tanto in fabbrica quanto nell'iper-tecnologica casa della famiglia Arpel, si contrappongono alle vivaci note musicali e al magico brusio della piazza del mercato dove abita Hulot. Come dire che con Tati la colonna sonora assume lo stesso significato dell’uomo in più nel calcio: fa la differenza.

Tutto appare dunque andare a gonfie vele per il francese, che nel frattempo è convolato a nozze con Micheline Winter diventando padre di Sophie e Pierre, ed è riuscito a fondare una Casa di produzione, la Specta Film. Ed è proprio in questo momento di gran felicità e massimo successo che Tati inizia a gettare le basi per il suo progetto più ambizioso girato in 70mm: PlayTime (Tempo di divertimento).

Il regista, improvvisatosi architetto, fa edificare su un terreno di 1500 metri quadrati una vera e propria cittadina – denominata Tativille – composta da palazzi di vetro, acciaio e cemento armato. La realizzazione di questa enorme scenografia vedrà all’opera più di 100 operai che lavoreranno senza sosta per un intero anno, e le riprese si prolungheranno per altri tre. Il risultato fu un bagno di sangue a livello finanziario e un flop sia per la critica che per il pubblico francese. Uscito nel 1967, PlayTime punta il dito sull’architettura moderna che, secondo Tati, rende tutte le capitali del mondo uguali. Come nelle altre pellicole, anche qui Monsieur Hulot raffigura l'insopprimibile anticonformismo della natura umana:  originalità che dona un soffio vitale a uno stile di vita urbano altrimenti sterile.

Con il passare del tempo PlayTime è stato meritatamente riconosciuto come un capolavoro assoluto, e a tal proposito basti pensare alle parole di François Truffaut: “PlayTime non assomiglia a nulla che già esista al cinema. E’ un film che viene da un altro pianeta, dove i film si girano in maniera diversa. Forse PlayTime è l’Europa del 1968 filmata dal primo cineasta marziano”. Purtroppo, Tati era però ridotto ormai sul lastrico. La Specta Film fallì, la casa di famiglia fu venduta e i suoi film precedenti vennero sequestrati. Lui tuttavia non si scoraggiò e, seppur costretto a ridimensionare  i suoi progetti, nel 1971 diresse  l'ultima opera con il signor Hulot come protagonista, Monsieur Hulot nel caos del traffico (Trafic), e nel 1974 il TV movie Il circo di Tati (Parade). Entrambe le proiezioni riscossero purtroppo una tiepida accoglienza. Mentre il cortometraggio Forza Bastia (Forza Bastia ou l'Île en fête), realizzato nel 1978 assieme alla figlia, fu reso pubblico soltanto nel 2002.

Indebolito da seri problemi di salute ed entrato nell’oblio collettivo, Tati riuscì comunque a ultimare la sceneggiatura di Confusion, da cui, in collaborazione con gli Sparks - il duo pop-rock statunitense dal look bislacco e coloratissimo - avrebbe voluto trarre un film su una città futuristica dove ogni attività ruotasse attorno alla fascinazione dell’apparenza in quanto tale.

Jacques Tati lasciò il palcoscenico della vita il 4 Novembre 1982, a causa di un’embolia polmonare.

Nel 2010 uscì L'illusionista, pellicola d’animazione diretta da Sylvain Chomet. Il film, basato su una sceneggiatura inedita di Tati del 1956 - catalogata con l’anonima dicitura “Film Tati N°4” -, illustra la dura carriera artistica di un anziano illusionista non più in grado di meravigliare il pubblico troppo esigente delle grandi metropoli: credendolo un vero mago, soltanto una giovanissima ragazza verrà catturata dalle sue illusioni. Alcune voci riportano che il comico francese avesse  scritto  la storia con l’intento di riconciliarsi con Helga Marie-Jeanne Schiel, la figlia maggiore da lui abbandonata da piccola, concepita con una ballerina tedesca in tempo di guerra. Altre invece affermano che fu il rimorso per non avere dedicato molto tempo alla secondogenita Sophie a spingere Tati a scrivere il testo in suo onore. Come siano andate veramente le cose non è dato saperlo, fatto sta che dal regista di Le Pecq il film non venne mai realizzato! 

La totalità della sua opera cinematografica è un’affascinante danza ballata sul grande schermo, in cui intelligenza, intrattenimento, comicità, poesia, emozione, sensibilità e magia si fondono per poi esplodere in un magnifico spettacolo di fuochi d’artificio. Non stupisce che grandi registi, quali Buster Keaton, Jean-Luc Godard, François Truffaut, Wim Wenders, David Lynch e Wes Anderson considerassero Tati come uno dei filmaker più originali e innovativi che il cinema avesse mai conosciuto. Molti sono inoltre gli attori ispiratisi alla sua gestualità, uno su tutti Peter Sellers nei panni di Hrundi V. Bakshi, il goffo indiano di Hollywood Party, di Blake Edwards. Tra questi importanti nomi di grandi uomini di cinema ci piace ricordare l’omaggio fatto dal nostro trombettista Enrico Rava al mimo transalpino : “Tati” è infatti il titolo che Rava scelse per un suo cd del 2005, in cui, accompagnato da Stefano Bollani al pianoforte e Paul Motian alla batteria, costruisce imprevedibili intrecci musicali, concatenazioni che molto somigliano a quelle messe in scena dal grande Jacques Tati.  

Grazie alla nascita della società Les films de Mon Oncle, creata nel 2001 da Sophie Tatischeff (figlia di Tati), quasi tutti i film del cineasta d’oltralpe sono stati restaurati: occasione imperdibile per smarrirsi gioiosamente nel fantastico universo di Monsieur Tati-Hulot.

Si narra che il nonno materno di Tati avesse tra i suoi clienti Vincent Van Gogh, con cui strinse una certa amicizia, e che il pittore olandese, non avendo disponibilità economica, chiedesse di poter saldare con i suoi dipinti i debiti contratti: una forma di pagamento che il nonno di Tati non accettò mai. Il denaro non fa di certo la felicità, ma avrebbe forse aiutato l’estroso regista a rialzarsi dalla profonda crisi economica che lo colpì nel 1967, e chissà cosa sarebbe allora successo…

Ah, una doverosa informazione: un monsieur Hulot, al quale Tati, colpito dalla sua singolare silhoutte si ispirò, è davvero esistito. Si tratta dell’architetto Hulot, progettista del palazzo in cui Tati abitava, nonché nonno del giornalista-ecologista Nicolas Hulot.