Le passioni di Martin.

Le passioni di Martin, ossia gli amori e le predilezioni di uno dei massimi registi della storia del cinema che in 50 anni di carriera (è del 1967 il suo primo cortometraggio La rasatura, girato quando era studente del corso di cinematografia della New York University nel quale in 5 minuti spazia da Melville alla guerra in Vietnam…) ha attraversato generi e stili, riuscendo nell’ardua impresa di tenersi sempre aggiornato sulle tecniche che il cinema andava via via adottando con il progredire della ricerca tecnologica ed anzi, reinventandole e dando loro la propria impronta peculiare ed originale. Basti pensare a Hugo Cabret del 2011 o alle numerose scene in digitale girate in Wolf of Wall Street.

Quanti registi della sua generazione hanno fatto proprie le tecniche del cinema contemporaneo? Non me ne viene in mente nessuno, anzi molti di loro hanno da tempo appeso la macchina da presa al chiodo (penso a Coppola tra tutti, ma anche al compianto Michael Cimino – in tutto sette lungometraggi al suo attivo) , potremmo ricordare senz’altro Michael Mann, Terrence Malick, la stessa parabola originale di Clint Eastwood, ma faccio fatica ad accostarli alla longeva vitalità artistica di Scorsese. Il regista nato nel Queens il 17 novembre del 1942, ha saputo, più degli altri rinnovarsi nelle tecniche e nei contenuti ed è forse proprio per questo che ancora oggi, pur avendo oltrepassato i tre quarti di secolo, ogni suo nuovo   lavoro è atteso con curiosità e grandi aspettative.

Ma quali sono le passioni che animano questo grande artista contemporaneo?

Innanzitutto, mi vengono in mente gli attori. Con essi ha sempre stabilito un forte e longevo connubio durato anni e che ha attraversato diverse opere. Se il primo amore non si scorda mai, allora la relazione professionale con Robert De Niro è di quelle che rimarranno profondamente scolpite nella memoria di Martin (ed è forse proprio per questo che dopo oltre 20 anni – l’ultima collaborazione risale al 1995 con Casinò – che il prossimo progetto di Scorsese potrebbe essere un film dal titolo provvisorio di The Irishman con per l’appunto, il grande Bob tra i protagonisti). Con il giovane Robert   la collaborazione inizia nel 1973 – glielo presenta Brian De Palma – con Mean Street – Domenica in chiesa, Lunedì all’Inferno, per proseguire con Taxi Driver (1976) fino al culmine del loro sodalizio artistico nel 1980 con la realizzazione di Toro Scatenato, a ragione considerato uno dei film più belli della storia del cinema. Tra i due è sicuramente grande amore. Per lui, Martin scrive e, lo dirige in ruoli indimenticabili (il Travis Bickle di Taxi Driver , il Jimmy Doyle di New York New York, il Rupert Pupkin di Re per una notte), gli affida la parte che fu di Robert Mitchum nel remake di Cape Fear, gli assegna il personaggio più significativo – anche se non protagonista – di Goodfellas , il film che ha rivoluzionato il genere dei gangster movie. Per il suo regista, Robert impara a suonare il sassofono in New York New York , ingrassa trenta chili per interpretare il vecchio Jack La Motta in Toro Scatenato, si gonfia come un culturista per dare forma al terribile Max Cady, ex detenuto assetato di vendetta, di Cape Fear Insomma, è il primo grande amore, e come tale, quasi sempre, destinato a svanire pur se tra mille rimpianti, pur se tra mille domande rimaste senza risposta…

L’altro grande amore di Martin è stato il divo Di  Caprio. Lo vuole protagonista in Gangs of New York  – che segna il ritorno di Scorsese al successo dopo due controverse prove con Kundun (1997) e Al di là della vita(1999), durante il quale la scintilla non scocca con il protagonista Nicolas Cage. Il film, dalla genesi complessa e la realizzazione complicata e tormentata  – nel quale Scorsese ritorna a concetti a lui cari come la violenza innata dell’uomo, rappresentata dalle cruenti battaglie tra le  bande che infestavano la New York di metà ottocento e la cui sintesi sarebbe alla base dell’America che andava nascendo il quei travagliati anni, sdogana di fatto Di Caprio dai ruoli fino ad allora frequentati ( più leggeri e giovanili) per restituirci un attore più maturo, drammatico a tutto tondo . Da questo film, il bel Leonardo, inanellerà una serie di successi che lo porteranno, e finalmente, al recente premio Oscar con Inarritu a dirigerlo in The Revenant. Oscar mancato per un pelo – e che avrebbe meritato - per la sua interpretazione di Jordan Belfort in The Wolf of Wall Street, il broker che fece impazzire il mondo finanziario degli States con il suo stile aggressivo e senza scrupoli. Ci arriva passando per altri grandi film di altri registi (Spielberg, Sam Mendes, Christopher Nolan, Tarantino, Eastwood, Baz Luhrmann) ma anche e soprattutto lavorando con Scorsese in altri tre film, oltre al già citato The Wolf of Wall Street. Sono The Aviator (2004), The Departed (2006) e soprattutto Shutter Island (2008); film dalle alterne fortune nei quali Scorsese affida a Di Caprio il ruolo di protagonista assoluto affidandosi completamente al talento del giovane attore.

Grandi storie d’amore ma anche amori giovanili, come quello con Harvey Keytel con il quale gira quattro film, tra il 1967 e il 1976 , tra il cui il primo lungometraggio di Scorsese Chi sta bussando alla mia porta? e Alice non abita più qui del 1974 – uno dei pochi film, forse l’unico se si considera L’età dell’innocenza  nella sua coralità di personaggi, con una protagonista femminile, Hellen Burstyn, in questo caso .

Anche semplici infatuazioni, come quella per Danny Day Lewis, che dirigerà in L’età dell’ innocenza, per l’appunto, tratto dal romanzo di Edith Wharton. Realizzato nel 1993 , racconta l’altra New York – più elegante ma non meno violenta nelle passioni e nelle convenzioni – quella che non vedremo in Gangs of New York-, dove Danny Day Lewis , le leggende raccontano, entrando così a fondo nel ruolo di William Cutting , imparò il mestiere del macellaio e l’arte del lancio dei coltelli e non si volle far curare una incipiente polmonite perché non filologico rispetto all’epoca in cui era ambientato il film….

Piccoli flirt , come quello con Joe Pesci con il quale lavorerà in tre film,  conquistando un Oscar come attore non protagonista con Quei Bravi ragazzi ed una nomination con Toro Scatenato. Se non è amore questo….

Ma, probabilmente, la vera passione – duratura e fedele nel tempo – è quella che Martin ha nutrito e nutre per Thelma Schoonmaker, la montatrice di ben 20 delle opere di Scorsese, documentari compresi. Un sodalizio che dura da ormai cinquant’anni e che ha visto la Schoonmaker lavorare dal primo sino all’ultimo film – The Silence – in uscita prossimamente, di Scorsese ottenendo ben tre premi Oscar per il montaggio (Toro scatenato, L’età dell’innocenza e The Aviator) dando vita e ritmo allo Scorsese più compassato riflessivo (L’ultima tentazione di Cristo e Kundun), allo Scorsese più lirico ed espressivo (Toro Scatenato e L’età dell’innocenza), allo Scorsese più enigmatico (Fuori orario, The Departed e Shutter Island) , allo Scorsese più onirico e sognatore (The Aviator e Hugo Cabret), allo Scorsese più frenetico ed esagerato (Quei bravi ragazzi e The Wolf of Wall Street). Insomma, una vera e propria icona della quale il regista italoamericano non sembra assolutamente voler fare a meno.

Dopo le persone, attori tecnici collaboratori, ci sono le passioni per le arti, per quelle attività che elevano l’uomo dallo stato di ferinità al quale – e i suoi film ne sono spesso una rappresentazione – troppo spesso con violenza ritorna. Dato per scontato che una di queste sia il Cinema, l’altra è sicuramente la Musica. Lo stanno a dimostrare i numerosi lavori che hanno come oggetto gruppi musicali come L’ultimo Valzer (1978) dove riprende l’ultima esibizione dello storico gruppo The Band  o Shine a Light, realizzato nel 2008, nel quale riprende il concerto dei Rolling Stones tenuto nel 2006 al Beacon Theatre di New York. Altri due documentari hanno come oggetto due icone della musica pop/rock degli anni’ 70, No Direction Home: Bob Dylan del 2005 e George Harrison: Living in the Material Worlddel 2011. Gira una clip per Michael Jackson ed un’altra per Robbie Robertson , produce nel 2002  una serie di 7 documentari incentrati sulla storia della musica blues, dirigendo lui stesso un episodio dal titolo Dal Mali al Mississippi (Feel Like Going Home). Recentissima poi, del 2016, è la produzione e la direzione di alcuni episodi di The Vinyl , la serie TV  che racconta la storia di un produttore discografico a New York nel pieno degli anni ’70. Quella per la musica, dunque, è una passione che, anche in considerazione di quanto le colonne sonore siano fondamentali nei suoi film, in alcuni casi caratterizzandone le sequenze con un peso più che significativo, è qualcosa di più di un semplice hobby coltivato ad alti livelli. Martin è un profondo conoscitore ed amante della musica della quale riconosce la grandissima valenza artistica.

Anche la Religione è un capitolo importante per Martin che a tratti assume i connotati di una passione/rovello.
Vivendo nella Little Italy di Manhattan potevi scegliere fra diventare gangster o prete. Io scelsi la via religiosa, ma finii per diventare un regista.” Potrebbe sembrare una frase di Woody Allen (se al posto del prete mettiamo un rabbino).  E’ invece di Martin Scorsese che studia anche per prendere i voti ma l’amore per il cinema, e per una vita non proprio da seminarista, avrà il sopravvento. E per fortuna, aggiungo io. Non credo che Padre Martin avrebbe avuto la stessa luminosa carriera del Martin regista.

Quella di Scorsese è una religiosità che più o meno esplicitamente si estrinseca anche nelle sue opere. Senza volere, in questa sede, tracciare   un approfondito profilo religioso del regista , mi basta citare L’ultima tentazione di Cristo uscito nel 1988  tratto da un libro dello scrittore greco Nikos Kazantzakis, e pubblicato postumo nel 1960, nel quale Gesù viene descritto come uomo salvato dalla morte per crocifissione da un angelo. Il protagonista è Willem Dafoe (De Niro dopo un’iniziale accordo ad interpretare Gesù si tirerà indietro per motivi personali) che dà il volto ed il corpo ad un Cristo divino ed umano allo stesso tempo, che, in una certa qual maniera, rappresenta la religiosità di un italoamericano vissuto a Manhattan, compresso tra fede atavica e la ragione di un giovane cineasta alla scoperta della vita e del mondo.

La dicotomia fede/vita è anche la cifra innervante di Mean Street rappresentata dal personaggio principale Charlie Cappa (Harvey Keitel) che vive un conflitto interiore tra la sua fede profondamente religiosa e i comportamenti poco ortodossi che invece mette in atto nella vita reale. Le sigla iniziale di Toro Scatenato (forse la più bella sequenza iniziale della storia del cinema), le immagini di Robert De Niro, solo sul ring, ed una nebbia magica che lo avvolge, punteggiate dalle note dell’Intermezzo della Cavalleria Rusticana esprime, a mio parere, un profondo senso del religioso, in qualche modo confermato dalla citazione finale tratta dal vangelo secondo Giovanni:

Allora chiamarono per la seconda volta quello che era stato cieco e gli ordinarono:
- Di' la verità di fronte a Dio! Noi sappiamo che quell'uomo è un peccatore!
Rispose:
- Io non so se è un peccatore o no. Una cosa però io so di certo: che ero cieco e ora vedo.

Infine, così parla di Scorsese Padre James Martin, il gesuita americano consulente del regista per l’ultimo film di prossima uscita The Silence che tratta delle persecuzioni subite dai cristiani in Giappone nel XIII secolo: “la fede cattolica è estremamente importante per lui. (…) la Chiesa gli ha sempre fornito un rifugio. Ma il suo cammino con la Chiesa è sempre stato anche una sorta di pellegrinaggio, una strada piena di macchie a volte irregolari e a volte lisce.

Dalla religione alla famiglia il passo è breve, soprattutto se sei cattolico e figlio di figli di emigranti italiani. Tanto che nel 1974 realizza un documentario dal titolo Italoamericani nel quale, durante una cena nel loro appartamento ad Elizabeth Street a Little Italy i suoi genitori (figli di siciliani emigrati alla fine dell’800) parlano della loro esperienza di italoamericani a New York. La madre Catherine, (che sarà presente in ben 3 film del figlio con piccole parti, è la madre di Joe Pesci in Quei bravi ragazzi) – morta nel 1997 – e il padre Luciano Charles Scorsese  (attore non professionista, è il Vinnie di Quei bravi ragazzi) raccontano, mentre preparano sugo e polpette (la cui ricetta viene poi esplicata nei titoli di coda, come gentile omaggio allo spettatore), dell’Italia, della guerra, dei rapporti con le altre comunità emigrate in America, ma anche di come si fa il vino, litigandoci sopra… Quadretti  familiari che, ad esempio, rivedremo rappresentati e raccontati in Quei bravi ragazzi dove il protagonista – mezzo italiano e mezzo irlandese –  scalerà il suo corsus honorum all’interno di una famiglia molto più vasta e complessa come quella del boss Lucchese.

La famiglia, è evidente,  costituisce per Martin un’altra delle sue passioni: sarà forse per questo che nella sua vita ha collezionato ben cinque matrimoni e tre figlie??? Agli spettatori, l’ardua sentenza.