Alice in Zombieland: viaggio nella saga di Resident evil

I seguaci irriducibili del variegato universo delle immagini in movimento sanno benissimo che Alice non è soltanto il nome della fanciulla che fornisce il titolo al noto lungometraggio di Woody Allen o che finisce nel Paese delle meraviglie nato dalla penna di Lewis Carroll, ma anche quello della protagonista del primo Venerdì 13 e di una delle più famose antagoniste dell’artigliato Signore degli incubi Freddy Krueger.
Sempre rimanendo nell’ambito di horror in fotogrammi, però, dal 2002 Alice è anche il nome della agilissima eroina incarnata da Milla Jovovich nei vari capitoli che costituiscono la saga Resident evil, derivata dal popolare videogame horror della Capcom e della quale – a partire dal 16 Febbraio 2017 – è in arrivo nelle sale cinematografiche il sesto e, probabilmente, ultimo: Resident Evil: The Final Chapter.

Un sesto capitolo diretto dallo stesso Paul W.S. Anderson che, marito della Jovovich e occupatosi in fatto di cineVgame, inoltre, di Mortal kombat e di Alien vs. Predator, rispettivamente datati 1995 e 2004, è anche colui che ha curato quasi l’intero franchise, producendone e scrivendone tutti i tasselli e ponendosi il più delle volte dietro la macchina da presa.

Kill Milla!
Come, appunto, nel caso del capostipite della serie, Resident Evil, incentrato su una pattuglia di militari inviata in una base sotterranea segreta della Umbrella Corporation, dove un virus è sfuggito al controllo trasformando animali e persone in aggressivi infetti zombeschi.

Capostipite atto ad introdurre la già citata e misteriosa Alice, che, affiancata dalla macho-woman Rain incarnata da Michelle Rodriguez, provvede a testimoniare ulteriormente un periodo storico la cui Settima arte, tra i vari Underworld e Kill Bill, sembra essere sempre più propenso a far perdere alle figure femminili la fisionomia del sesso debole.

Capostipite che, tra fredde scenografie ultratecnologiche e claustrofobia conferita dall’onnipresenza degli interni, privilegia fin dai primissimi minuti l’azione, senza dimenticare di omaggiare George A. Romero (la sequenza dell’ascensore pieno di morti viventi si rifà chiaramente a Zombi) e regalando memorabili momenti come quello movimentatissimo che vede l’entrata in scena dei cani contaminati.

Capostipite di cui esiste anche un finale alternativo ambientato sei mesi dopo gli eventi narrati, con una vendicativa Alice che torna alla Umbrella Corporation, dove tengono ancora nascosto Matt alias Eric Mabius, deportato nel momento in cui iniziò a mutare; ma che, pur avendo contribuito in maniera fondamentale al grande ritorno dei morti viventi nell’ambito della celluloide, non può fare a meno di risultare “colpevole” di aver accostato il filone della paura al divertimento da videogame, rendendo il tutto facilmente fruibile anche per gli spettatori più piccoli e rischiando, quindi, di privare il genere dell’indispensabile capacità di spavento.

E venne l’apocalisse!
Infatti, è più come action movie che come vera e propria pellicola di paura che funziona l’insieme, seguìto due anni più tardi dal Resident evil: Apocalypse che, con l’esperto in seconde unità Alexander Witt al timone di regia, riparte dal momento in cui Alice, in possesso di particolari poteri conferitile da un esperimento che la ha manipolata biogeneticamente, si risveglia da un lungo sonno per scoprire che Raccoon City è stata praticamente invasa dagli zombi.

Situazione che precede il momento in cui si unisce ad un piccolo gruppo di persone non infette, tra cui la sexy ed implacabile Jill Valentine e Carlos Oliveira, rispettivamente membro e capo del corpo d’élite S.T.A.R.S. (Special Tactics And Rescue Services) interpretati da Sienna Guillory e Oder Fehr, per cercare di ritrovare e portare in salvo la figlia di uno degli scienziati di punta dell’Umbrella Corporation, il quale, a quanto pare, li aiuterà a fuggire dalla città.

E, oltre alle orde di contaminati, ai dobermann non morti ed ai veloci e letali Licker, a rientrare tra le mostruosità d affrontare troviamo il minaccioso Nemesis, arma segreta modificata sperimentalmente e letteralmente fabbricata intorno al bodybuilder Matthew G. Taylor tramite l’uso di silicone, poliuretano, cuoio e metallo. Man mano che l’ambientazione apocalittica urbana suggerita dal titolo va a sostituire quella claustrofobica del primo film, sebbene la spettrale e darkeggiante Raccoon City – creata dallo scenografo Paul Denham Austerberry sulle strade di Toronto – appaia ugualmente in qualità di immenso involucro buio e apparentemente privo di uscita, grazie anche al supporto dell’ottima fotografia di  Christian Sebaldt e Derek Rogers.

Il resto, tra double gun fight, arti marziali, frenetico montaggio proto-videoclip e rifugiati in chiesa che sembrano omaggiare il carpenteriano Fog, lo fa l’abbondanza d’azione nell’evidente tentativo di non deludere i fan del film precedente; rispetto al quale, fortunatamente, sposa in maniera più convincente le atmosfere horror con gli stilemi tipici del videogioco.

Altro che estinzione!  
Ancor più convincente, però, risulta Resident Evil: Extinction, diretto nel 2007 dal Russell Mulcahy noto per aver diretto Highlander - L'ultimo immortale, ma non nuovo al genere, considerando titoli del calibro di Razorback – Oltre l’urlo del demonio e Talos – L’ombra del faraone all’interno della propria fimografia.

Un terzo capitolo che, abbandonati sia il senso di claustrofobia enfatizzato dagli interni del laboratorio segreto “Alveare” che la cupamente apocalittica Raccoon City del secondo film, catapulta in una futuristica e desertica Terra alla Mad Max; dove un manipolo di sopravvissuti lotta per sfuggire alle popolazioni trasformate in zombi dallo sperimentale T-Virus, i cui artefici, nascosti all’interno di una stazione radio del Nevada, sono alla ricerca di Alice, risultato di tutti i loro esperimenti e, di conseguenza, fondamentale al fine di trovare una cura.

E, fortunatamente, stavolta sembra che si guardi più al maestro George A. Romero che ad Anderson, tanto che trovano il loro spazio evidenti citazioni da Il giorno degli zombi; mentre i protagonisti, alle prese con aggressivi infetti dal look sempre più elaborato e spaventoso, si spostano tramite un convoglio armato, proprio come i personaggi del già classico La terra dei morti viventi.

Man mano che, tra hitchcockiane invasioni di corvi e le consuete imprese atletico-coatte ella Jovovich, gli ottimi effetti speciali e le splendide creature concepite dallo specialista Patrick Tatopoulos arricchiscono una oltre ora e mezza di puro entertainment ricca di azione e splatter, nonché trasudante virtuosismi tecnici... fino allo spiraglio aperto per il quarto episodio.

L’orgoglio di Anderson
Quarto episodio intitolato Resident evil: Afterlife e che segna nel 2010 il ritorno di Anderson alla regia della saga, due anni dopo il Resident evil: Degeneration che, diretto da Makoto Kamiya, altro non è che un lungometraggio d’animazione in CGI, come pure Resident evil: Damnation, del 2012.

Quarto episodio, ma primo proposto in 3D per portare in scena una Alice ritrovatasi con i poteri neutralizzati dopo un assalto solitario alla fortezza della Umbrella Corporation e che si unisce a Claire Redfield e suo fratello Chris, rispettivamente interpretati da Ali Larter e Wentworth Miller; per poi rifugiarsi insieme ad altri sopravvissuti in una prigione abbandonata, dove una massa di zombi affamati fa di tutto pur di impedire loro di raggiungere Arcadia e mettersi in salvo.

Forse l’appuntamento meno coinvolgente del franchise, nonostante la consueta abbondanza di azione e scontri corpo a corpo; a differenza del successivo Resident Evil: Retribution, che, ancora a cura di Anderson e di nuovo in 3D, manifesta, invece, i connotati di uno dei migliori.

Datato 2012, sguazza tra Uber-Lickers e morti viventi Majinid (forniti di enormi mandibole e tentacolari che fuoriescono dalle loro bocche), riportando in scena anche diversi personaggi uccisi nei film precedenti, dalla Rain Ocampo di Michelle Rodriguez a James”One”Shade alias Colin Salmon.

Perché è in particolar modo la tematica della clonazione ad essere approfondita nel corso di un elaborato che, grazie a una nuova trovata di sceneggiatura, ci permette anche di assistere ad imprese per le strade di New York, Tokyo, Washington e Mosca (la sequenza che si svolge nella capitale russa è, di sicuro, una delle più riuscite, efficacemente immersa in toni dark). Due giganteschi Executioner Majini armati di pericolosa scure, una indispensabile estetica da horror anni Ottanta ed immancabili manciate di sangue digitale, infine, contribuiscono a farne un visivamente accattivante ed altamente spettacolare cineVgame decisamente superiore rispetto ai due precedenti andersoniani.