Appunti da Berlino: i Premi e i Film del festival
Auf Wiedersehen Berlin!
Si chiude il sipario sulla 66a edizione della Berlinale. Un’edizione a detta di molti sottotono rispetto alla media delle precedenti, ma comunque contrassegnata da un ottimo programma e da un gran numero di film d’attualità, e di impegno sociale, e soprattutto anche da una grande, solida affluenza di pubblico.
Il documentario vince su tutto
Senza dubbio questo di Berlino 2016 è stato l’anno del documentario. Tanti infatti i titoli in cartellone che hanno a mezzo documentaristico affrontato temi cari all’attualità del contemporaneo. E se Alex Gibney ha presentato in concorso l’ennesimo interessantissimo lavoro d’inchiesta, indagine complessa e articolata in riferimento a una cyber war sdoganata dall’America e alle inquietanti caratteristiche che può assumere un conflitto di nuova generazione, ovvero quello informatico, Michael Moore ha invece divertito e convinto con il suo Where to Invade Next.
Un documentario che satirizza il concetto di invasione e lo trasforma in qualcosa di positivo, sollevando domande sull’idea stessa di conquista o di interscambio tra nazioni e culture diverse. Un giro dell’Europa in compagnia dello stesso beffardo, ironico Moore per riscoprire i talenti propri di ogni Paese e ri-assembrarli nei tasselli ideali di una società perfetta.
Gianfranco Rosi e il suo sguardo sull’immigrazione
Ma il vero vincitore reale e morale è, nemmeno troppo a sorpresa, un italiano. Il “nostro” Gianfranco Rosi.
Fin dalla presentazione stampa del suo documentario Fuocoammare, peraltro unico titolo italiano in concorso di quest’anno, il regista ha ricevuto plausi ed elogi. E, come molti avevano preventivato, stando al riscontro in sala e alle voci di corridoio, l’Orso d’Oro di quest’anno per il miglior film è andato proprio a lui.
Già vincitore con Sacro Gra alla 70ª edizione della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, un documentario che incrociava una manciata di vite ai margini e tutte unite nella sfera di contatto del famoso raccordo capitolino, con Fuocoammare Rosi porta a un livello di maggiore compiutezza il suo sguardo documentaristico.
In una Lampedusa che è terra di pescatori, di confine e di congiunzione tra due continenti (Africa ed Europa) Fuocoammare segue attraverso due linee narrative parallele le storie ordinarie ed extra-ordinarie di quel luogo così simbolico, dove ogni anno migliaia e migliaia di immigrati approdano, o anche muoiono.
Lo sguardo del piccolo Samuele, un giovanissimo lampedusano doc, impegnato a tirare di fionda e a coltivare l’innata passione per il mare e la pesca, si mescola a quello di chi ogni giorno (medici, soccorritori, sommozzatori) lavora in quel funesto luogo di transito per salvare dalla morte uomini, donne e bambini partiti su imbarcazioni di fortuna e nella speranza di una vita altrove.
Ben bilanciato grazie al suo doppio binario narrativo, e per qualche verso anche ‘furbo’ nello sfruttare l’elemento bambino che mitiga e ‘addolcisce’ la tragicità della tematica portante, il documentario di Rosi ha convinto pubblico e giurie regalando all’Italia l’Orso d’oro 2016 e assicurando così al regista il secondo premio festivaliero della sua carriera.
E ora c’è chi lo vede già proiettato verso Cannes.
Gli altri premiati
Tra gli altri titoli in concorso (e non) non sono comunque mancati lavori in grado di interessare, o anche destare l’attenzione di giurie e pubblico pagante.
Si tratta di lavori perlopiù eterogeni ma ugualmente ‘impegnati’ sul fronte storico, sociale, quando non entrambi.
Ad aggiudicarsi Il Gran Premio della Giuria è Morte a Sarajevo del bosniaco Danis Tanovic, titolo che produce un affresco della Sarajevo contemporanea, a distanza di cento anni dalla Grande Guerra.
United States of Love - opera con la quale il regista polacco Tomasz Wasilewski si aggiudica l'Orso d'Argento per la miglior sceneggiatura - è invece l’interessante ritratto della Polonia dei primi anni ’90 presa tra la voglia di cambiamento e il pallore stagnante del retaggio del regime. Un’opera imperfetta ma molto interessante sotto diversi punti di vista.
Anche Kollektivet – La comune – del danese Thomas Vinterberg ha fatto incetta di consensi con la sua amara decostruzione di uno stato famigliare allargato. Un’opera profondamente legata al Festen 1998, icona del manifesto Dogma, e dal quale Kollektivet riprende sia attore sia attrice – la danese Tryne Dirholm, che si aggiudica qui a Berlino l’Orso d’Argento come Miglior Attrice.
Altro lavoro largamente apprezzato quello a sfondo esistenziale della regista francese Mia Hansen-Løve. L’Avenire (letteralmente l’avvenire) è infatti un film sulle rivoluzioni della vita, inquadrate nella capacità di sopravvivenza e di rielaborazione, necessarie in ogni fase della crescita individuale. Un’opera più razionale e forse matura della precedente (Eden) che mantiene però intatta l’emozionalità imponente e potente tipica delle opere di questa regista. Una bravissima Isabelle Huppert e una splendida colonna sonora vanno a perfetto corollario dell’opera che regala alla Mia Hansen-Løve l’Orso d’Argento come Miglior Regista di quest’anno.
Vincono, infine, anche l’opera fiume (ben 484 minuti di proiezione) Lullaby to the Sorrowful Mystery del filippino Lav Diaz (premio “Alfred Bauer” per l'opera più innovativa), e Majd Mastoura, che si aggiudica il premio come Miglior attore grazie al film Hedi (titolo che porta a casa anche il Premio per la migliore opera prima).
Vedi anche:
Where to Invade Next
We Are Never Alone
You'll never be alone