Cinelatino, 31es rencontres de Toulouse: giorno 2

Un tema comune, sebbene in diversa misura, lega tre dei film in concorso a cinelatino 31es rencontres de Toulouse: l’omosessualità. Quello più riuscito è senza dubbio Luciérnagas (Lucciole), secondo film della quarantaduenne Bani Khoshnoudi, artista, cineasta e produttrice di origini iraniane. Prodotto da quattro paesi: Messico, Usa, Grecia e Repubblica Dominicana, il film si svolge a Veracruz dove un giovanotto di Teheran tenta di imbarcarsi per l’Europa. La somma per la traversata clandestina su un cargo è troppo elevata, e Ramin: ha poco più di trent’anni, non parla spagnolo e conosce soltanto poche parole d’inglese, non si da pace. E’ alloggiato in un piccolo albergo dove la figlia del proprietario lo tratta con garbo, ma lo vediamo in contatto via internet col compagno che ha lasciato a Teheran. Lui è scappato per motivi politici e a causa del suo comportamento sessuale, e ora si sente solo in un vicolo cieco. Il film illustra il suo atteggiamento serio e pacato in una delle città più pericolose del Globo, l’incontro con un paio di guatemaltechi in procinto di attraversare gli Usa per recarsi in Canada, e la vicenda della locandiera, una giovane fiera e decisa, abbandonata dal suo ragazzo che ora è tornato dagli Usa e vorrebbe affibbiarle il bambino avuto da un’altra. Il film dura novanta minuti e dopo la descrizione di solitudine e di incomprensione che gravano sullo straniero si chiude con una festa di carnevale dove Ramin scorge una via d’uscita e dove la locandiera sorride scoprendo la sua omosessualità.

  Secondo film anche Temblores (Tremori) del guatemalteco Jayro Bustamante, la cui opera prima Ixcanul vinse l’orso d’argento alla Berlinale del 2015. Difficile, invece, sarebbe un premio per questa contorta vicenda di centodieci minuti. Durante i primi cinquanta non si capiscono i motivi del declassamento e dell’ostracismo verso un quarantenne della classe agiata che la madre tenta di proteggere mentre i parenti lo considerano la vergogna della famiglia. Qualcosa deve aver commesso Pablo, marito di una donna di classe e padre di due adorabili bambine, ma non si capisce cosa neanche quando la moglie tenta una riconciliazione. Al minuto cinquanta emerge un termine improprio: pedofilo. In realtà Pablo mantiene una relazione con Francisco, giovane massaggiatore di una palestra dove sua madre è cliente. E durante un’ora, dopo aver perso il posto di lavoro e dopo il divieto di contatti con i figli, il film mostra le titubanze di un uomo che vorrebbe rimanere a capo della sua famiglia e mantenere la relazione col suo compagno. E sarà la chiesa, in un paese dove l’omosessualità è considerata una devianza che va corretta, a impiegare Pablo e offrirgli un’opportunità per reinserirsi nella società borghese.        

  Film d’esordio Todos somos marineros (Siamo tutti marinai) di Miguel Angel Moulet, quarantenne peruviano che si è formato a Cuba. Si apre con un vecchia nave russa alla rada nelle acque peruviane. A bordo tre uomini: il capitano e i fratelli Tolya e Vitya, macchinista e cuoco. E’ sparito il radar e ci sono accertamenti in corso. Loro vorrebbero soltanto tornare a casa, ma sono costretti a registrarsi alla polizia portuale e attendere i risultati dell’iter burocratico. Tolya riannoda una vecchia relazione con Sonia, gerente di una tavola calda, e Vitya, malaticcio, da una mano a Tito, giovane protetto di Sonia. Dopo interminabili giornate di attesa, Tolya confida al capitano di aver tentato di vendere il radar perché da mesi l’impresa non li ha più retribuiti, ma l’affare non è andato in porto e ora il radar è tornato al suo posto. Comprensivo, il capitano minimizza il fatto. Nel frattempo l’impresa gli ha inviato un passaggio aereo per tornare in Russia, e i due fratelli dovranno attendere ancora. Durante la snervante attesa, Tolya sorprende il fratello durante un rapporto sessuale con Tito. Nel tentativo di separarli, viene colpito da Tito con un tubo di metallo, ma si difende ferendolo gravemente. A nulla varranno i tentativi di salvarlo e dovrà affidare il cadavere alle acque dell’oceano. Non dirà niente a Sonia, ma si fingerà a suo lato nelle vane ricerche. Girato con attori non professionisti il film si svolge durante centodieci minuti mettendo in risalto la solitudine e il disorientamento dei due marinai ancorati in un porto simile a un incubo dal quale non riescono a uscire. Non mancano lentezze e alcuni passaggi poco chiari, ma nell’insieme rende bene il senso di solitudine e di estraniazione.

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