Conferenza stampa L'abbiamo fatta grossa

Chi lo avrebbe detto che, prima o poi, avremmo visto insieme protagonisti in un unico lungometraggio l’attore e regista romano Carlo Verdone ed il lombardo Antonio Albanese che ha interpretato, tra gli altri, Qualunquemente e il suo sequel Tutto tutto niente niente?

Distribuito nelle sale cinematografiche da Filmauro, a partire dal 28 Gennaio 2016, L’abbiamo fatta grossa pone l’autore di Borotalco e Compagni di scuola nei panni di un detective squattrinato e l’interprete de La lingua del santo in quelli di un attore di teatro divorziato e con problemi di memoria che penalizzano non poco le sue performance sul palco.

Due esilaranti personaggi destinati ad incrociare le proprie strade trovandosi ad avere a che fare con una valigetta dal contenuto molto pericoloso per loro e di cui, affiancati dal produttore Aurelio De Laurentiis, Verdone e Albanese hanno avuto modo di parlare a Roma con la stampa.

 

D: Possiamo definire questo film un noir in chiave comica?

Carlo Verdone: Sì, lo abbiamo pensato così, perché quando parti da due attori comici che interpretano un investigatore privato e un personaggio che va a chiedergli aiuto per un’intercettazione non puoi fare altro. Volevo liberarmi un po’ dello scontro generazionale, dei padri separati, del lavoro e delle altre tematiche che avevo affrontato negli ultimi precedenti film e realizzare una sorta di favola. Con Antonio, poi, siamo diventati proprio amici, in quanto ci hanno uniti anche la passione per la musica e quella nei confronti dell’arte. È uno dei migliori attori con cui ho lavorato, se non il migliore.  

Antonio Albanese: Io ho avuto un incontro molto professionale con Carlo in Questione di cuore di Francesca Archibugi, nel quale lui aveva un cameo. Su questo set, ogni giorno era un piacere lavorarci insieme, perché avevamo una fiducia reciproca e una troupe fantastica. Mi piacerebbe tornare a lavorare con Carlo per sviluppare questa combinazione, questo ritmo.

 

D: Da cosa deriva questa scelta di fare comicità sul mondo dei detective?

Carlo Verdone: Il mio co-sceneggiatore Michele Plastino mi ha ricordato, a un certo punto, un buon soggetto che avevamo, ma che era molto raffinato, un po’ complesso e ostico. Quindi, ho riguardato alcuni appunti che avevamo scritto su un investigatore privato e, da lì, è partito tutto. Poi, c’è stata un’intuizione su un attore che perde la memoria e, insieme a Massimo Gaudioso, abbiamo cominciato a creare questo mosaico.

Antonio Albanese: Tra l’altro, perdere la memoria sul palco è un incubo per un attore (ride).

 

D: Cosa vi ha permesso di essere così affini al primo impegno lavorativo insieme?

Carlo Verdone: È tutto perfetto perché abbiamo la stessa ironia, pur essendo io romano e lui lombardo.

Antonio Albanese: È una questione di ritmo interiore. Per esempio, una volta, a teatro, avevo un monologo con un sassofono e soltanto il terzo ragazzo che provò la scena si rivelo perfetto, in armonia. La stessa cosa è accaduta con Carlo.

 

D: In questo film sembra che vi sia una certa riscoperta degli esterni di Roma, dopo Sotto una buona stella che, invece, si svolgeva quasi del tutto in casa...

Carlo Verdone: In questo film ho cercato di girare scene in quartieri romani poco battuti dal cinema, come Monteverde Vecchio, Centocelle, quartiere Castrense e, soprattutto, il Nomentano e Villa Torlonia.

 

D: Antonio Albanese si è forse ispirato a Carlo Verdone per questo ruolo?

Antonio Albanese: Partiamo dal fatto che io vidi a diciotto anni Bianco, rosso e Verdone, film che mi esaltò per la capacità di raccontare i caratteri con quella ironia così alta. Non so se mi sono ispirato a Carlo, forse l’ho fatto indirettamente, perché la sua gestualità io l’ho sempre apprezzata. Poi, lui è stato una guida.

 

D: Quali ciak sceglievate durante le riprese?

Carlo Verdone: Sceglievamo sempre il primo, perché era il più vero e naturale; poi, noi andavamo come treni.

Aurelio De Laurentiis: La mia teoria è che sul set di un film bisognerebbe filmare le prove e tenerle per buone.

 

D: Aurelio De Laurentiis cosa ha pensato quando ha letto il copione?

Aurelio De Laurentiis: Con Carlo, insieme a mio figlio Luigi, si lavora sempre nello stesso modo: spalla a spalla, sparisce per un periodo, poi, quando torna, c’è un imbarazzo tra lui e Michele Plastino da cui capisci che non hanno ancora le idee chiare, altrimenti entra come una furia. Allora, io mi preoccupo e capisco che sono ancora in alto mare. A Carlo, che è un grande osservatore del quotidiano, rimangono dentro tutte le piccolissime identità che vorrebbe raccordare in un racconto, ma non sempre ciò è estremamente facile.

 

D: Tornerete a lavorare insieme?

Carlo Verdone: Questo dipende dal pubblico, se apprezzerà il film. C’è bisogno di unire le forze, di creare una coppia, perché ognuno, in qualche modo, esalta l’altro.

 

D: Avete pensato di fare, prima o poi, un film in cui Antonio Albanese dirige Carlo Verdone?

Antonio Albanese: A me piacerebbe molto dirigerlo, sfiancarlo, distruggerlo, perché, quando è un po’ stanco, Carlo fa ridere tantissimo (ride). Anche solo un cortometraggio, fammelo fare, dai!

Carlo Verdone: Quando vuoi.