Conferenza stampa: Toxic jungle... e la magia della Ayahuasca!

“Io sono nato in Perù, ma, quando ero giovane, la mia famiglia è emigrata prima negli Stati Uniti, poi in Argentina. Una volta diventato adulto, avevo bisogno di capire quale fosse la mia identità, quindi sono tornato in Perù per conoscere il posto e i suoi costumi. Devo dire che in tante cose è simile all’Argentina. Credo che fare cinema sia anche parlare di identità; la mia è un po’ peruviana, un po’ argentina, un po’ italiana”.
Parla alla stampa romana il cineasta classe 1972 Gianfranco Quattrini, il quale, autore nel 2006 di Chicha tu madre, torna dieci anni dopo nelle sale italiane con Toxic jungle, distribuito da Istituto Luce – Cinecittà ma girato nel 2013.
Un biopic immaginario che unisce ritmi rock a profondità rituali ideato dal regista stesso nel 2004, quando andò nella città amazzonica dove nacque sua madre, ma al cui fianco, in fase di sceneggiatura, si è aggiunta, tra gli altri, Lucía Puenzo dopo che il padre di lei Esteban si è dimostrato interessato ad esserne uno dei produttori.   

Insieme, tra l’altro, a Rosanna Seregni, la quale, presente all’incontro, dichiara: “Io ho una grande esperienza per quanto riguarda le co-produzioni con l’Argentina, non sono difficili, anzi, sono i miei colleghi ad essere pigri e, in fin dei conti, viaggiare costa. Non dimentichiamo che l’Argentina è piena di italiani e che c’è una grande vicinanza culturale con il nostro paese, anche per quanto riguarda gli spetti negativi. Io sono entrata in co-produzione a metà progetto, ma prima che venisse concepita la sceneggiatura, poi ne ho curato qui la post-produzione usufruendo anche del Fondo Italia – Argentina. Comunque, è stato un onore girare nella città in cui venne realizzato Fitzcarraldo di Werner Herzog”.

Un film la cui gestazione si è rivelata piuttosto lunga, con molti ritocchi al montaggio, e che, distribuito in Argentina nel 2014 e in Perù l’anno successivo, tira in ballo anche il richiamo della magica Ayahuasca, a proposito di cui Quattrini spiega: “La parola è costituita dall’unione tra il sostantivo che significa ‘anima’ e quello che si riferisce alla ‘liana’. Si tratta di un misto di piante prive di stelo e molti pensano che si tratti di una droga, perché, dopo che l’hai bevuta, hai delle visioni, senti dentro una forza, è un cammino, ma, in realtà, è una potente medicina. In Perù non è più di uso comune in quanto molti ne hanno paura, anche perché non è propriamente un’esperienza piacevole quella che ne consegue. Senti il corpo che si perde e rivedi tutto ciò che hai fatto di male. È come uno specchio, una pulizia dell’anima e del corpo, come dieci anni di psicanalisi. Quando la bevi la prima volta provi timore, ma la seconda lo fai per scoprire più cose di te. È legale, però non tutti gli sciamani sono affidabili. Noi, per esempio, ne abbiamo cercati diversi in sei mesi e, quando abbiamo trovato quello che vedete qui in Toxic jungle, era difficile comunicare con lui perché era in un’altra dimensione. La scena della cerimonia è stata la prima che gli abbiamo fatto girare”.

Elementi destinati a rendere ancor più curiosa e atipica un’operazione il cui autore non nasconde rimandi ai musicisti Luca e Andrea Prodan, sebbene racconti una vicenda inventata, in quanto ciò che principalmente gli interessava era mettere in piedi una storia di guarigione nel centro dell’America Latina e con protagonisti due fratelli come tanti.