Festival Internazionale del Cinema Fantastico di Sitges: giorno 2

Nel diluvio di film che in questi giorni ha invaso il 50° Festival Internacional de Cinema de Catalunya da notare Cold Skin (Pelle fredda) che il francese Xavier Gens al suo quarto film ha tratto dal romanzo di Albert Sànchez Piñol. Interpretato da David Oakes, Aura Garrido e Ray Stevenson, dura 108 minuti e incontra il favore del pubblico e della critica. Narra di un giovane meteorologo che sbarca su un’isola vicino al Circolo Polare Antartico e al di fuori delle rotte commerciali. Deve sostituire un anziano ufficiale e studiare venti e maree. Sull’isola, però, c’è soltanto il guardiano del faro che sostiene di essere l’unico sopravvissuto a un’epidemia di tifo. Sebbene il capitano gli consigli di tornare a bordo, il giovane decide di fermarsi per un anno. E presto capirà perché lo scorbutico guardiano ha eretto barriere di difesa intorno al faro. Di notte, creature marine dalle sembianze umanoidi assaltano la sua casa costringendolo a rifugiarsi nella cantina. E a partire dal giorno seguente sarà ospite del guardiano.

La solitudine sull’isola fa pensare a “Robinson Crusoe”, ma qui i protagonisti sono tre: il giovane, il guardiano e una creatura marina di sesso femminile, salvata dall’anziano del quale è diventata serva e amante. Per larga parte il film illustra la strenua difesa dei tre dagli assalti notturni delle creature del mare fino a quando, dopo una strage provocata da candelotti di dinamite, il giovane incontra gli alieni al tramonto. Dimostrano di secernere il bene dal male e di essere pronti per una pacificazione con gli invasori, ma il guardiano non ci sta. Ben descritti i caratteri dei protagonisti e lo scontro tra generazioni in un racconto serrato in una landa desolata che ancora una volta pone il problema dello straniero. L’alieno, chi è?

 Pochi anche i personaggi dell’opera prima di un ingegnere spagnolo, Andrés Goteira, che in Dhogs, contrazione di Dogs + Hogs, descrive scene di violenze urbane partendo da una giovane donna in un bar dove consuma un drink e in maniera simpatica e spavalda provoca un manager che le siede accanto. Vanno in albergo per una relazione consenziente, poi lui si prepara per la notte e lei prende la strada di casa. Senonché un brutto ceffo la sequestra, la carica su un camioncino e la porta fuori città. Dopo una sosta a una pompa di benzina dove una madre astiosa tiranneggia il figlio, il rapitore porta la ragazza in una radura e scava una fossa. Poi le punta un’arma da fuoco: la ragazza è terrorizzata, ma si dà il caso che un cacciatore, rattristato dalla malattia del suo cane, passi poco distante. Interpretato da Melania Cruz, Miguel de Lira, Antonio “Duràn” Morris, il film dura 86 minuti e segue il percorso della protagonista, una spirale di violenze, sul quale si inseriscono nuovi personaggi. Spesso le scene, interni ed esterni, sono corredate da immagini di un pubblico che assiste silenzioso, e al quale vengono servite le schermaglie dell’approccio sessuale, il film nero e il western.

  E per chi desiderasse scene più violente, nella sezione òrbita è passato un film proiettato a mezzanotte a Cannes: A Prayer before Dawn (Una preghiera prima dell’alba) di Jean Stéphane Sauvaire. Prende spunto dalla autobiografia del pugile britannico Billy Moore, incarcerato in Thailandia per tre anni per spaccio di droga. Durante 117 minuti vengono descritte le violenze viste in molti film di carattere carcerario, maggiorate dalle pessime condizioni del famigerato carcere Klong Prem di Bangkok e dal fatto che Billy Moore era un occidentale inserito in un gruppo di criminali locali. Interpretato da Joe Cole, il film si chiude con un atto di redenzione, ma c’è da soffrire per un paio d’ore!

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