FRANKENSTEIN: i tanti volti della CREATURA

Il dottor Victor Frankenstein e la sua orrida creatura compiono duecento anni, eppure, nonostante l’età avanzata, il loro mito sembrerebbe destinato a non morire mai. Nel 2016, infatti, sono ben due i film che celebrano la loro nascita: Frankenstein, di Bernard Rose, e Victor - La Storia Segreta del Dott. Frankenstein, di Paul McGuigan.

Facendo un salto nel passato scopriamo che il 1816 fu ricordato come “l’anno senza estate”, chissà se quelle anomalie climatiche che portarono un eccesso di freddo, di pioggia, di lampi e saette, ispirarono la diciannovenne Mary Shelley a realizzare quello che sarebbe diventato il capolavoro letterario Frankenstein, o il Moderno Prometeo. Diverse fonti raccontano che, nel maggio di quell’anno, i futuri coniugi Mary e Percy Shelley fecero visita a Lord Byron che allora risiedeva a Villa Diodati, in Svizzera.  Era una notte buia come la pece e tempestosa come le onde del mare in burrasca, e i tre amici, ai quali si era aggiunto John Polidori – medico personale di Byron – dopo aver letto per ore un’antologia tedesca di storie di fantasmi scommisero su chi tra loro fosse riuscito a scrivere in breve tempo il racconto più pauroso. Fu proprio in quelle 24 ore che vennero gettate le basi per la creazione di due tra i personaggi horror più conosciuti al mondo: Frankenstein, della Shelley, e il precursore del Conte Dracula, il Vampiro, di John Polidori. Come avrebbe potuto il cinema farsi sfuggire una così ghiotta occasione? E difatti, se contiamo la quantità di film incentrati sul mostro, ci accorgiamo che la lista è talmente lunga da mettere i brividi.

"Fu in una tetra notte di novembre che vidi il compimento delle mie fatiche, con un'ansia sconfinante nell'angoscia raccolsi attorno a me gli strumenti della vita per infondere una scintilla animatrice nella cosa inanimata che giaceva ai miei piedi, era già l'una del mattino, la pioggia batteva sinistramente sui vetri e la candela era quasi tutta consumata quando, al bagliore della luce che andava estinguendosi, vidi gli occhi giallo opachi della creatura aprirsi, respirò a fatica e un moto convulso le agitò le membra" . Con queste parole prendeva vita l’immonda creatura. Ciò accadeva nelle pagine del romanzo, e ciò è accaduto nei film più famosi dedicati da vari registi al moderno Prometeo.

Ma quanto è cambiata negli anni la figura del mitico cadavere ricucito?

Il primo adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Mary Shelley fu un cortometraggio di 13 minuti prodotto nel lontano 1910 da Thomas Edison - proprio colui che inventò la “lampadina” - dal titolo Frankenstein (1910), scritto e diretto da J.Searle Dawley. Questa pellicola, considerata la prima del genere horror, offriva una visione grottesca e deformata della storia originale, dove il dottor Frankenstein veniva raffigurato più come stregone/prestigiatore che come scienziato, tant’è che la realizzazione del mostro avveniva dentro un pentolone! Le fattezze di Adam – sì, la Creatura si chiama come Adamo, il primo uomo sulla Terra – erano simili a quelle di un barbone: bisognerà aspettare ancora due decenni prima che il suo aspetto deforme diventi imperituro.

Già, perché nel 1931 gli Universal Studios produssero Frankenstein (1931) di James Whale, con Boris Karloff e Colin Clive, e fu grazie al make up di Jack Pierce che si formò quella che nell’immaginario collettivo divenne la definitiva fisionomia del mostro. L’attore inglese trascorse ogni giorno quasi quattro ore al tavolo del trucco per arrivare a ottenere gli elementi distintivi del suo personaggio: la fronte piatta e ampia, le appendici metalliche ai lati del  collo – erroneamente ritenuti bulloni  – da cui ricavare l’energia vitale, le palpebre pesanti, l’arcata sopraccigliare sporgente, le innumerevoli cicatrici, la giacca nera dalle maniche corte per accentuare la lunghezza delle braccia, i pesantissimi stivali realizzati in modo da far protendere in avanti il busto e influenzare la postura. Boris Karloff subì in seguito tre interventi chirurgici alla schiena, e per il resto della vita soffrì per i danni fisici causatigli dalle enormi difficoltà affrontate nel girare quella pellicola: oggi, nell’era della computer grafica e degli effetti speciali, questo non sarebbe mai potuto accadere! Ma siamo davvero sicuri che le maschere successive siano più paurose di quelle di un tempo?

Ovviamente, rispetto al corto del 1910, la nuova versione filmica evidenziava notevoli passi in avanti; grazie alla sua regia fluida e inventiva, Whale non solo eliminò le tracce  teatrali ma creò un’atmosfera talmente opprimente che i tanti futuri sequel riuscirono raramente a eguagliare. Basti pensare che il successo “esteriore” del mostro fu così grande che l’Universal, tutt’oggi proprietaria dell’immagine, continua a incassarne i diritti d’autore su qualsiasi tipo di riproduzione.   

Viste tali premesse, la casa di produzione americana non perse l’opportunità di sfornare, nell’arco dei successivi tredici anni, altre cinque opere su Frankenstein, tra cui La Moglie di Frankenstein, del 1935, sempre con il trio Whale-Karloff-Clive. Questo lungometraggio, per le sue fantastiche atmosfere gotiche e la profondità di alcuni temi trattati, ottenne un grande successo di critica, in esso si assistette inoltre a una rilevante evoluzione psicologica della Creatura. Il mostro, rispetto al precedente film, impara infatti a pronunciare qualche parola e a relazionarsi con gli altri e, soprattutto, apprende la natura dei sentimenti umani che lo porteranno ad avere una vaga idea sia della distinzione tra bene e male che del concetto dell’amore. Già, l’amore… In Amarcord, dell’immenso Federico Fellini, c’è una scena nella quale lo zio pazzo del protagonista sale su un albero e grida ininterrottamente “Io voglio una donna”: un moderno mostro che, né più né meno come qualsiasi altro uomo, chiede un’anima gemella con cui placare la solitudine.  

Dopo la moglie, poteva mancare il figlio? Assolutamente no. La famigliola si allarga e nel 1939 Karloff vestì per l’ultima volta i panni della Creatura ne Il Figlio di Frankenstein di Rowland V.Lee, un film in cui molto risalto viene dato al personaggio di Igor – interpretato dal vampiro per eccellenza Bela Lugosi – mentre le altre figure sono lasciate pressoché invariate.

In piena Seconda Guerra Mondiale la Creatura del dottor Frankenstein divenne ancor più violenta e vendicativa e, ne Il Terrore di Frankenstein del 1942, la malvagità la farà da sovrana. Con questa pellicola, finalmente aggiungiamo noi, il mostro verrà per sempre identificato con il nome del suo creatore.

Dopo 26 anni di indiscusso dominio americano il mito di Frankenstein iniziò a perdere il suo smalto, e la lunga serie di film a lui dedicati subì una brusca frenata negli incassi. Fu allora che la britannica Hammer Film Production –  che grazie alla “formula Hammer” fece conoscere l’horror in tutto il mondo dalla fine degli anni cinquanta fino a tutti i settanta -  si gettò a capofitto nel progetto Frankenstein, riuscendo a confezionare dal famoso romanzo della Shelley sette film. Le novità apportate dalla Casa di Produzione inglese furono davvero molte. Se nei lavori dell’americana Universal l’indiscusso protagonista era la Creatura, con l’arrivo degli anglosassoni il personaggio principale divenne il folle scienziato: l’orrore non derivava più dall’aspetto terrificante del mostro, ma dall’amoralità del suo artefice. L’obolo da pagare alla Universal per la tremenda maschera era forse eccessivo? Ne La Maschera di Frankenstein del 1957, primo lungometraggio a firma Terence Fisher, il make-up di Christopher Lee era nettamente inferiore rispetto a quello utilizzato per Boris Karloff, e così sarà per i film successivi. Altra innovazione fondamentale fu il passaggio dal bianco e nero al colore, invenzione – questa - che donando maggior realismo alla rappresentazione rendeva ancor più terribili le inquadrature su arti mozzati, decapitazioni e bulbi oculari asportati: il seme dello splatter era stato irrimediabilmente piantato.  Nei seguenti film della Hammer, tra cui cinque girati da Fisher e sei interpretati da Peter Cushing nei panni di Victor Frankenstein, la figura di Victor acquistava via via un’immagine sempre più negativa. Nella penultima opera del filone inglese, Distruggete Frankenstein! del 1969, nonostante le proteste degli attori la produzione impose una scena di stupro: la perversità non risiedeva nell’animo del crudele dottore… ma nella venalità dei produttori!

Nei 25 anni successivi al povero dottor Frankenstein ne capitarono di tutti i colori. Ci fu chi lo mandò nel futuro e chi lo fece alleare con Dracula, chi lo chiamò Otto e chi Charles, qualcuno gli attribuì anche il titolo nobiliare di Barone. Il regista giapponese Ishiro Honda – quello di Godzilla,  per intenderci -  si misurò persino con la Creatura, facendola combattere contro il dinosauro Baragon! Gli stessi Andy Wharol e Sting non resistettero al fascino dei personaggi inventati dalla Shelley, il primo diresse Il Mostro è in Tavola... Barone Frankenstein, del 1974,  mentre il secondo ricoprì il ruolo dello scienziato ne La Sposa Promessa, del 1985. Ma in questa nebulosa cinematografica emerge un’opera che brilla di luce propria: Frankenstein Junior, il Koh-i-Noor tra tutti i film sul mostro.

Sono infatti in pochissimi a non conoscere la battuta pronunciata da Igor, “Lupo ululà, castello ululì”. Nel 1974 Mel Brooks, insieme a Marty Feldman e Gene Wilder –  quest’ultimo nelle vesti sia di attore che di sceneggiatore –  regalano agli spettatori un’esilarante parodia ispirata tanto al racconto gotico del 1816 quanto ai celebri film della Universal degli anni trenta. Girato completamente in bianco e nero, Frankenstein Junior riprese lo stile del primo lavoro di Whale e, per ricreare alla perfezione l’estetica dell’epoca, Brooks utilizzò gli stessi attrezzi di scena adoperati nel film originale, collocandoli nelle medesime posizioni: un cult che ha contribuito a rendere immortali sia Frankenstein che il gobbo Igor.

Così, tra puro terrore, risate e tante banalità, siamo giunti fino agli anni novanta senza che nessun regista, produttore o sceneggiatore, sia riuscito a cancellare dalla mente del pubblico la raccapricciante figura regalataci nel 1931 da Boris Karloff: certo, impresa non facile, quasi come cercare di trasformare l’immagine di Babbo Natale! Ma Kenneth Branagh volle cimentarsi in quella difficile operazione, e nel 1994 si mise dietro la macchina da presa per dirigere Frankenstein di Mary Shelley. Robert De Niro, nei panni della Creatura, riscosse un notevole successo, e il suo volto trasfigurato da due ore di trucco, benché molto lontano dalla maschera originale fu di notevole impatto visivo. Il vero pregio di questo film è comunque da ricercarsi nella sua fedeltà al  romanzo: tranne qualche libertà di sceneggiatura, il lavoro di Branagh – prodotto da Francis Ford Coppola – è di fatto quello che più si avvicina allo spirito romantico della Shelley.

Secolo nuovo, Frankenstein nuovo. In Van Helsing, del 2004, nelle poche scene a lui dedicate la Creatura si presenta con il cranio rasato e il fisico da culturista, mentre nell’action movie I, Frankenstein, del 2014, si converte in eroe imbattibile… e persino di bella presenza.

Da pochi giorni è uscito nelle sale italiane Frankenstein, di Bernard Rose, adattamento contemporaneo dell’opera letteraria vecchia ormai di 200 anni. Il regista inglese mette in scena un film splatter a tutti gli effetti, un lavoro carico di scene truculente che ricorda molto gli horror b-movie degli anni ottanta. Bernard Rose è il deus ex machina di tutto il film, è lui lo sceneggiatore, il regista, il direttore della fotografia, suo è perfino il montaggio. Però si sa, il troppo stroppia e la scelta di cimentarsi in un’ennesima versione del rinomato mostro non pare riuscita a  pieno. Già, perché le poche buone idee -  raccontare la storia interamente dal punto di vista del protagonista, far nascere l’orrenda Creatura dalle carni plasmate tramite una bio-stampante 3D,  trasportare il racconto in epoca odierna - non sono sufficienti a far appassionare il pubblico a una storia sviscerata fin troppe volte. E’ pur vero, però, che gli amanti del genere gore/trash andranno in visibilio per la quantità di sangue sparso e di crani spaccati. Inoltre il make-up usato rende il mostro molto più simile a un appestato che non a un essere deformato dalla “scienza”: ça va sans dire… a ognuno i propri gusti!

A questo punto non rimane che attendere aprile per vedere se Victor - La Storia Segreta del Dott. Frankenstein di Paul McGuigan, con James McAvoy e Daniel Radcliffe, riuscirà, dopo troppi anni di “calma piatta” a emozionare nuovamente il pubblico. Nel film le vicende dello scienziato svizzero che si crede Dio saranno narrate da Igor, il gobbo e ambiguo assistente del dottore. Mettiamoci dunque l’anima in pace, perché anche se questo lungometraggio si dimostrerà un capolavoro, e tutti lo speriamo, la Creatura temo non venga mai raffigurata!

Tirando le lunghe somme si giunge alla semplice conclusione che assistere a così tante versioni di Frankenstein forse non potrà mai soddisfarci appieno. Perché? Perché davanti al mostro si torna a essere un po’ come bambini ai quali, per vederli contenti, si deve leggere la stessa fiaba centinaia di volte senza cambiare una sola parola: nemmeno una.

Ma, tra il dottor Frankenstein e la Creatura…  il vero mostro chi è?