Le chiamavano Teenage Mutant Ninja Turtles: la storia delle Tartarughe ninja

Uno combatte con il bastone bo, un altro utilizza la katana, un terzo maneggia abilmente pugnali sai e un ultimo non nasconde affatto una certa attitudine per i nunchaku.
Dal 7 Luglio 2016 gli schermi cinematografici italiani tornano a colorarsi di verde grazie alla nuova avventura dei Donatello, Leonardo, Raffaello e Michelangelo che, dal sempre più lontano 1984, non sono più soltanto i nomi di quattro storici artisti italiani.
Paramount, infatti, distribuisce nelle sale Tartarughe ninja – Fuori dall’ombra di David Green, esplosivo e coinvolgente sequel del Tartarughe ninja di Jonathan Liebesman che,  prodotto da Michael Bay, aveva provveduto nel 2014 a rispolverare – grazie ai notevoli progressi effettuati dalla motion capture – le quattro testuggini esperte di arti marziali e dotate di senso della giustizia che hanno portato non poco successo e denaro a Peter Laird e Kevin Eastman, entrambi fan dei film di Bruce Lee e dei fumetti sui supereroi e creatori dei personaggi originali.
Ma in quale momento ha avuto origine tutto ciò?

La prima fetta di Turtles
Ci crediate o no, pare che i due abbozzarono con la matita su un angolo di tovaglia al ristorante proprio uno dei personaggi che sarebbero poi entrati nel cuore dei giovani lettori, con l’intenzione di prendersi gioco degli animali dei disegni con nuvolette.
Una tartaruga con una cappa, precisamente, poi ridicolizzata ancor di più rendendola ninja; prima che le finanze delle loro famiglie venissero impiegate per fondare la società editrice Mirage Studio e che, appunto, proprio nello stesso anno in cui la Settima arte assisteva alla nascita del mito di Freddy Krueger e all’uscita di Terminator di James Cameron, esplodesse la turtle-mania in seguito alla diffusione di sole tremila copie del fumetto, inizialmente stampato in bianco e nero ed esaurito in brevissimo tempo.

Perché non solo i simpatici rettili su due gambe generati dal loro contatto con un liquame radioattivo dispersosi nelle fogne di New York dopo un incidente automobilistico provvedevano a dare lezioni di ninjitsu in manuali non troppo seriosi, ma si assistette anche alla diffusione di giochi, giocattoli, confezioni di cereali e altri gadget assortiti.
Per non parlare di libri e videocassette arrivati dopo il 1987, anno della prima serie animata con protagonista il quartetto (centonovantatré episodi per dieci stagioni, fino al 1996), per l’occasione privato della sua freddezza e della violenza grafica originaria (in modo da non spaventare i genitori dei lettori) e reso amante in maniera smisurata della pizza, adattandolo al pubblico dei bambini.   

Testuggini in… serie
Serie animata che cambiava anche la genesi del mentore Splinter, in quanto, mentre nel fumetto originale era un topolino adottato dal saggio maestro di arti marziali Hamato Yoshi e subiva anch’esso una mutazione contaminato dalle radiazioni dopo che l’uomo finiva vittima del suo rivale Shredder, poi capo della setta criminale Clan del Piede, in quel primo caso da piccolo schermo diveniva un’evoluzione del suo padrone, costretto a vivere nelle fogne in mezzo ai ratti a causa del citato avversario.  

Prima che, con l’aggiunta di una quinta tartaruga chiamata Venus, nel 1997 facesse la sua apparizione il telefilm Tartarughe ninja – L’avventura continua, cancellato dopo soltanto due stagioni e pensato, in realtà, come continuazione della trilogia cinematografica live action iniziata sette anni addietro tramite il riuscito Tartarughe ninja alla riscossa (1990) di Steve Barron, piuttosto fedele alla storia su carta e interpretato da quattro attori in costume.

Quattro attori affiancati da Elias Koteas e Judith Hoag rispettivamente nei panni del vigilante mascherato Casey Jones e della giornalista April O’Neil, quest’ultima sostituita da Paige Turco nei mediocri sequel Tartarughe ninja II – Il segreto di Ooze di Michael Pressman – girato in memoria di Jim Henson, che aveva lavorato alle maschere del capostipite – e Tartarughe ninja III di Stuart Gillard, datati 1991 e 1993 ed entrambi piuttosto distanti dalle caratteristiche originarie delle Teenage mutant ninja turtles.

Non a caso, il primo – con un’apparizione del rapper Vanilla Ice nei panni di se stesso – tira in ballo addirittura una tartaruga azzannatrice e un lupo trasformati in animaleschi guerrieri mutanti e chiamati Tokka e Rahzar, mentre il secondo – che riporta in scena l’appena menzionato Jones dopo l’assenza nel capitolo precedente – trasporta tutti nel Giappone feudale del 1603 attraverso un viaggio nel tempo eseguito con l’ausilio di uno scettro magico.

Cowabunga forever!
Una trilogia che ha preceduto l’uscita della nuova serie a fumetti TMNT, del 2001, e un’altra animata successiva di due anni, il cui discreto successo ha favorito la messa in piedi di un quarto lungometraggio inizialmente intitolato Teenage mutant ninja turtles IV e prodotto come i precedenti da Thomas K. Gray.
TMNT, concepito nel 2007, però, totalmente in animazione CGI – con il fondamentale apporto dell’art director/illustratore Simon Murton, oltre trecento disegnatori e settanta artisti – dall’esordiente Kevin Munroe che, poi responsabile di Dylan Dog – Il film e Ratchet & Clank – Il film, spiegò: “Non volevamo tornare indietro e fare un remake dell’originale, quindi abbiamo deciso di aprire un nuovo capitolo nella vita delle Tartarughe. Abbiamo concentrato l’attenzione su ognuno di loro, sottolineando come si sono evoluti i rapporti familiari dall’ultima volta che li abbiamo visti”.

Capitolo in cui, infatti, al posto dello sconfitto Shredder trovavamo come villain il magnate della tecnologia Maximilian J. Winters; mentre apprendevamo che Splinter aveva inviato Leonardo in una missione di addestramento in Centro America, che Michelangelo intratteneva i bambini alle feste di compleanno mascherato da tartaruga, che Donatello, guru della tecnologia, si era ridotto a risolvere telefonicamente i problemi dei computer altrui, e che Raffaello, camuffato ed all’insaputa di tutti, si era trasformato in un vero e proprio giustiziere della notte conosciuto con il nome di Nightwatcher.

L’ultimo appuntamento cinematografico turtlesiano prima dell’arrivo del reboot di cui sopra, che ha posto la sexy Megan Fox nel ruolo di April O’Neil e ha rivisitato ulteriormente la nascita del poker di eroi dal guscio tramite un esperimento di laboratorio fallito.
Ma soltanto dopo altre serie a cartoni animati, come pure il film tv del 2010 Turtles forever, in cui le tartarughe ninja del 1987 lottavano al fianco di quelle del 2003, incontrando, alla fine, addirittura le originali del fumetto del 1984.

E, magari, in attesa di ascoltare ancora una volta l’esclamazione “Cowabunga!” che piace tanto ai quattro paladini della giustizia, qualcuno di voi ritroverà in cantina o su polverose scaffalature di libreria il mitico album delle figurine che, edito nei primi anni Novanta, consentiva anche di vederli in azione, pagina dopo pagina, grazie all’utilizzo di appositi occhialini bicromatici per guardarne i disegni.