Netflix e le storie vere: come la piattaforma streaming valorizza esempi di umanità

Tra le numerose offerte targate Netflix si possono trovare titoli interessanti, non necessariamente  legati a serie tv, per quanto esse restino senza dubbio il punto forte della celebre piattaforma streaming. In questa occasione è appunto ad alcuni di quei film che faremo riferimento, accomunati dall'essere inediti in Italia (non avendo mai visto la luce in una sala cinematografica) e dal fatto di essere ispirati ad eventi realmente accaduti.

Partiamo con Operation finale, che narra le vicende di un piccolo gruppo di agenti del Mossad, al quale spetta il compito di rintracciare Adolf Eichmann, ufficiale delle SS, scampato al processo di Norimberga e rifugiatosi sotto falso nome in Argentina.
La missione risale al 1961 e tra coloro che ne presero parte ci fu Peter Mankin, interpretato dal un magnifico Oscar Isaac. Definito dal quotidiano israeliano “una delle più grandi figure di sempre nella storia del Mossad”, Mankin è il vero protagonista della pellicola. Attraverso il suo sguardo e la sua tragica esperienza, veniamo a conoscenza di quanta ingiustizia abbiano subito (e stiano ancora subendo) gli ebrei e i loro discendenti.
Al termine del secondo conflitto mondiale infatti, con la liberazione e lo smantellamento dei campi di concentramento, tanti aguzzini e soprattutto chi aveva un ruolo di rilievo all'interno del meccanismo che ad essi ha portato, sono riusciti a sfuggire alla giustizia, in un modo o in un altro. Così facendo, non solo non hanno pagato per i crimini commessi, ma hanno lasciato nelle loro vittime la paura, il terrore, e anche la sensazione di non compiuto. Impossibile proseguire con una qualsiavoglia parvenza di vita. Mankin appare ossessionato dalla sua missione, dalla quale spesso si lascia travolgere, portando con se' tutti quelli che lo circondano.
La pellicola di Chris Weitz, che torna in cabina di regia a distanza di sette anni dal precedente Per una vita migliore, riesce nel non facile intento di rendere in maniera realistica e tangibile questo sentimento crescente, pressante, avvolgente. In alcuni momenti quasi claustrofobico.
Molto simile a Il debito di John Madden – sia per la tematica che per la storia in sé – e vicino al Munich di Steven Spielberg, Operation finale è una di quelle opere capaci di spiazzare e sorprendere, emozionare e far riflettere. Si tratta di un tipo di cinema necessario, oggi più che mai, per una questione innanzittutto umana, morale, e solo in un secondo momento creativa.
Quando l'arte riesce a intrattenere e raccontare al tempo stesso, qualcosa di assolutamente unico e determinante sta accadendo. La scelta di realizzare una sorta di thriller, nel quale piano piano i tasselli vanno a comporre il puzzle, fa sì che un pubblico più ampio possa esserne attratto. E a quel punto il “gioco” è fatto. Impossibile non sentirsi partecipi, immedesimarsi e provare sulla propria pelle quel dolore inciso dai numeri e dall'inumanità che ha imperato troppo a lungo.

Discorso analogo vale per un'opera solo in apparenza differente, quale Red Sea Diving di Gideon Raff. Ci troviamo qui di fronte a un film ancora più ammaliante. Vuoi per il cast guidato da Captain America in persona, alias Chris Evans, vuoi per le location che fanno da cornice alla storia (il Mar Rosso del titolo, sebbene le riprese si siano svolte tra il Sud Africa e la Namibia).
Liberamente ispirato ad eventi realmente accaduti e basato sul libro Mossad Exodus di Gad Shimron, Red Sea Diving racconta anch'esso la storia di un gruppo di agenti del Mossad, impegnati in una missione tanto segreta quanto rischiosa, che consiste nel salvare migliaia di falascia etiopi, facendoli fuggire verso Israele.
Torna di nuovo la questione ebraica, affrontata però dal punto di vista della terra promessa e di un genocidio che tante popolazioni sono ancora costrette a subire. Siamo negli anni Ottanta e, nonostante siano passati circa quattro decenni, non cessano le vessazioni nei confronti degli ebrei. Sebbene nella pellicola non sia mai reso chiaro il motivo per cui questi uomini, donne e bambini si vedano costretti a fuggire, in situazioni a dir poco disperate, onde evitare torture e morte certa, ciò che risulta evidente e fondamentale è il gesto compiuto da coloro che rischiano tutto pur di salvare quante più vite possibile. “Chi salva una vita, salva il mondo intero” è la frase che noi tutti ricordiamo da Schindler's List: pronunciata ad un certo punto della narrazione, mette in evidenza (se ce ne fosse ancora bisogno) il valore dell'esistenza umana, imprescindibile e intoccabile.
Red Sea Diving si “nasconde” dietro una facciata a metà tra la spy story e l'action movie, ma entrambi i generi fungono da specchietto per le allodole. Alla base si trova infatti una storia importante, potente, di ispirazione, arricchita da questo parterre attoriale composto da volti affascinanti, convincenti e incredibilmente in sintonia, alcuni dei quali provenienti dal piccolo schermo – vedi il Michiel Huisman de Il trono di spade e Hill House o l'Alex Hassell di The Boys (è l'interprete di Translucent). Il ritmo sostenuto e una sceneggiatura piena di ironia completano il quadro, facendone una delle migliori proposte di Netflix.

Concludiamo infine con un titolo alquanto differente rispetto alle due precedenti, ma sempre basato su una storia vera. Si parla di Madalyn Murray O'Hair, un'attivista statunitense nota soprattutto per aver lottato contro l'obbligo della preghiera e delle letture della Bibbia nelle scuole pubbliche americane, rapita e uccisa nel 1995.
La donna più odiata d'America definizione datale dalla rivista Life e ripresa dal regista Tommy O'Haver, che torna a dirigere a distanza di dieci anni da American Crime con Ellen Page – compone un ritratto realistico, non edulcorato. Sotto la luce dei riflettori una figura contraddittoria, a tratti ostile, con la quale non è facile immedesimarsi. Ma la forza della Murray è proprio in questo suo carattere ferreo, determinato, coraggioso.
Senza peli sulla lingua e senza alcun tipo di timore (che si potrebbe tradurre anche in un filo o più di incoscienza), la donna ha portato avanti la sua causa per anni, sino a raggiungere anche obiettivi cruciali, di cui ancora oggi possiamo avvalerci. La pellicola non lesina nel mostrare la realtà dei fatti, motivo per cui se da un lato non viene automatico sentirsi vicini alla protagonista, dall'altro sconvolge il destino che le viene riservato. A darle corpo, una bravissima Melissa Leo.