Rubrica: I Raccomandati - L'arte della felicità

Per la serie I Raccomandati, ovvero quei film che ci hanno regalato qualcosa in più di una semplice visione, più o meno attuali, più o meno noti, più o meno importanti, che non scorderemo tanto facilmente e per questo riteniamo sia giusto consigliarvi, vi presentiamo: L'arte della felicità di Alessandro Rak (regista di Gatta Cenerentola)

Sergio e Alfredo (nome lirico per antonomasia) sono due fratelli uniti, diversi, entrambi talentuosi. Uno suona il pianoforte, l’altro il violino. Un tempo musicisti affiatati e dal grande potenziale, i due hanno poi finito per imboccare strade lontane. E se Sergio ha barattato il suo talento di pianista con una licenza di conducente per taxi, Alfredo ha dismesso il suo violino ed è partito per il Tibet inseguendo (forse) il sogno di non perdersi e aderire a quella concezione Buddista per cui la morte non è altro che il continuum verso una nuova vita. Ma, a questa vita, Alfredo si è infine “sottratto” lasciando il fratello e il suo taxi a vagare per una Napoli livida e stracolma di rifiuti, allagata da una pioggia battente e incessante.

Alla guida di quel taxi che non conosce più sosta, Sergio prende a bordo i clienti più disparati, seguendo un tragitto casuale di strade e riflessioni e portando a zonzo insieme a sé stesso e a quelle esistenze raminghe il suo cruscotto ingombro di foto e cose, tra le quali spicca un piccolo e anonimo Buddha, accanto al quale penzola una targhetta con la scritta non fumare, e sotto cui giace una piramide stantia di mozziconi abbandonati. Una donna in lacrime e in fuga dal suo sogno d’amore fallito, uno zio contrario alla mestizia del lutto, uno sfasciacarrozze mecenate e capace di ridare nuova forma alle cose vecchie, una ricca napoletana con badante e invettive al seguito, e infine lo speaker radiofonico conduttore della trasmissione “L’arte della felicità”, in compagnia del suo dubbio amletico “Si può essere felici anche senza un futuro?”. E, intanto, tra le parole dei suoi interlocutori, le lacrime della pioggia, e la tristezza avvolgente di una Napoli informe, Sergio prova a fare i conti con il proprio lutto interiore, a restituire forma a quell’idea di felicità di colpo soppiantata dalla morte, dalla perdita e da una infelicità travolgente.

L’interessante punto d’osservazione di un taxi (spesso usato nel cinema come mezzo di studio della società circostante, non ultimo nel pluripremiato Taxi Teheran di Jafar Panahi), permette all’opera prima del talentuoso e ispiratissimo Alessandro Rak (co-regista anche de la Gatta Cenerentola, altro film d’animazione di grande pregio) di muoversi fluida attraverso posti e persone, accumulando strada facendo storie e paesaggi di quella che è la grande e complessa dimensione della Vita.

Opera delicata e di grande valore, L'arte della felicità circumnaviga il concetto di lutto, lo espropria in qualche modo della sua connotazione più tragica, e lo rielabora infine a nuova vita. Di passaggio (nella vita) proprio come sui sedili di un taxi, tutti i personaggi de L’arte della felicità (inclusi Sergio e suo fratello) sono potenziali talenti consegnati alla realtà del momento, sognatori appesantiti da una pioggia che non conosce ragioni. E dunque, per loro - come per noi, l’opera di Rak rincorre e in qualche modo ritrova la melodia perduta, la purezza dell’arte, quella di un pianoforte immerso in un sogno e cinto da enormi radici di albero, abbracciato alla natura, capace di rievocare anche un fratello perduto. E proprio così, abbracciando un mondo che troppo spesso appare in lutto o moribondo, poco alla volta il film di Rak disvela l’armonia nascosta delle cose, la curiosità seppellita delle persone, quella voglia di vivere che sempre si oppone alla morte.

Forte di un tratto dolente ma incredibilmente vivo, l’opera prima del fumettista napoletano Alessandro Rak disegna l’arte del dolore connotandola di un guizzo gioioso, catartico, capace di rivelare con un candore e una poesia straordinari la possibilità di opporre la rinascita alla morte, la rigenerazione al lutto.

Per una volta, e val la pena sottolinearlo, un film che viene dalla nostra terra (dei fuochi) e parla un nostro dialetto, ma che è capace di abbracciare come un piccolo miracolo un universo intero, alimentare una riflessione unica sulla difficile, talvolta sfuggente arte di vivere.

 

Se non l'hai ancora visto, puoi recuperare L'arte della felicità su RaiPlay