SEMINCI 2019: 64ª edizione della Semana Internacional de Cine de Valladolid. Giorno 5

Sebbene sia stato coronato a Cannes dal premio di regia, Le jeune Ahmed, (L’età giovane), dei fratelli Dardenne è stato presentato in concorso alla 64° SEMINCI di Valladolid. Il fatto è che Jean-Pierre e Luc sono qui registi molto popolari e spesso premiati. Cinema didattico che informa sotto forma di finzione sui problemi sociali che affliggono il nostro tempo, punta l’obiettivo questa volta sui disastri del fondamentalismo religioso. Da loro scritto e diretto, il film narra di un ragazzo che vuole applicare alla lettera le nozioni di purezza impartitegli dall’iman del suo quartiere. E tenta di uccidere la giovane insegnante che ritiene impura. Fallito il colpo, Ahmed viene affidato ad agricoltori che lo inseriscono come aiuto nell’allevamento del bestiame. La madre ne soffre; l’iman lo rassicura; gli educatori lo incoraggiano. E lui si comporta rispettando le regole, tanto che sta per essere dimesso, ma all’improvviso scappa e tenta nuovamente di aggredire l’insegnante. I registi sembrano dire che ne uccide più l’ideologia che il colera, e che senza prevenzione non c’è salvezza: il tutto in 84 minuti.   

   Piú pregnante il film islandese Hèradid (The County) di Grimur Hàkonarson, che nel 2015 vinse qui la Spiga d’oro. Applaudito al Festival di Toronto, descrive la battaglia di una donna sola contro lo strapotere delle cooperative. Inga, agricoltrice di mezz’età, perde misteriosamente il marito. Forse un malore alla guida del furgone, forse un suicidio. Sta di fatto che lei voleva sottrarsi al monopolio della cooperativa, e lui non si esprimeva. Il sospetto che fosse obbligato dalla dirigenza a delazioni su chi voleva rendersi indipendente, pena la bancarotta della sua fattoria, emerge poco a poco. Inga, pero’ non ci sta. Decide di vendere il latte ad altri offerenti, scrive un articolo su Internet parlando di mafia delle cooperative e rilascia un’intervista nella quale accenna anche all’improvvisa e inspiegabile scomparsa del marito. Seguono alcune azioni intimidatorie nei confronti della donna che reagisce con determinazione senza lasciarsi intimidire, e riesce persino ad aggregare un numero sufficiente di agricoltori per formare una cooperativa lattiera indipendente. E’ un trionfo per la regione, ma a lei sottrarranno la fattoria per bancarotta, e dovrà ricostruirsi una vita altrove. Ragione di piu’ per recarsi nell’agognato Sud e concedersi una vita piu’ partecipata, in allegria e in amicizia, concedendo al lavoro lo spazio essenziale per guadagnarsi da vivere.

   Sembra un racconto di Voltaire, quando scrive che importante nella vita è continuare a coltivare il proprio orto. In effetti ha tutti i requisiti di un racconto morale descritto dal percorso di Inga, interpretata con molta grinta da Arndis Hrönn Egilsdottir in un film di novanta minuti che affronta un poblema sociale col ritmo di un thriller.

    Sicuramente bizzarra la partecipazione nel concorso del film argentino Hombres de piel dura (Uomini di pelle dura) del veterano argentino José Celestino Campusano giunto al suo tredicesimo lungometraggio. Il tema è quello degli abusi sui minori nei collegi cattolici e del coming out del figlio di un possidente terriero. Nei dintorni di Buenos Aires, tra la cittá e il mondo rurale, Ariel, adolescente abusato nell’infanzia da un sacerdote, si sente abbandonato quando questi gli dice di dover troncare la loro relazione. Per quanto vittima, il giovane ritiene che l’omosessualitá faccia parte della sua natura, e chiuso il capitolo col sacerdote, seduce un contadino che lavora nella fattoria del padre. E quando questi viene cacciato, si mette con un giovanotto che vive in clandestinitá. Sostenuto dalla sorella che capisce le sue scelte, ma gli consiglia di muoversi con le dovute attenzioni, Ariel vuole agire alla luce del sole. Dinanzi all’aut aut del padre: o eterosessuale o fuori dai piedi, va a vivere col nuovo compagno.

   Dal materiale per un film drammatico, Campusano ha realizzato una sorta di commedia nella quale anche i momenti più gravi scivolano con leggerezza. L’accusa degli abusi ai prelati, uno ancora giovane e l’altro praticamente pensionato, fa parte del quotidiano: tutti lo sanno, ma nessuno li rimuove. E Ariel, il protagonista vittima di abusi, sorride sempre. Non gli pesa il passato: guarda avanti con ottimismo perché è lieto di accompagnarsi con gli uomini e tutti lo accettano. La scommessa del regista è quella di distruggere l’immagine dell’omosessuale manierato e passivo, per tentare d’imporre quella del gay dichiarato, cosciente e orgoglioso del proprio comportamento. E lo fa con alcuni spunti divertenti: quando il prete anziano durante la passeggiata serale da la benedizione a due vecchie signore, queste lo guardano con rabbia e gli gridano: "Va all’inferno, vecchio frocio."

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