Sesta settimana: è tempo di stare a casa. Film e serie tv viste, o riviste, sulle piattaforme streaming e non solo!

Sesta settimana ancora dedicata alla settima arte…
Un classico in bianco e nero degli ‘anni ’50, ancora con Bette Davis diva protagonista e due film che per motivi diversi hanno lasciato un segno a fine secolo
E per finire, Zero, Zero, Zero, serie TV di produzione Sky, tratto dall’omonimo libro di Roberto Saviano.

Visto Sabato 18 aprile
Eva contro Eva - 1950
Regia Joseph L. Mankiewicz
Soggetto Mary Orr (racconto)
Sceneggiatura Joseph L. Mankiewicz
Interpreti: Bette Davis, George Sanders, Anne Baxter, Hugh Marlowe, Celeste Holm, Marilyn Monroe
Un classico del cinema americano degli anni '50
Scritto e diretto da Joseph L. Mankiewicz, uno dei registi più glamour di Hollywood, abituato a lavorare con grandi star (Marlon Brando, James Mason, Liz Taylor, Richard Burton), che con questo film porta in scena la quint'essenza dell'essere divo, anzi diva, raccontando la storia di una ragazza di provincia (Eva, interpretata da Anne Baxter) , che grazie a tenacia, furbizia ed un talento innato nel farsi benvolere, riesce a salire la dura scala dello spettacolo raggiungendo il successo scalzando colei che fino a quel momento era la diva per eccellenza (ovviamente Bette Davis, che, di fatto, interpreta sé stessa…). 
La scena iniziale è quella della premiazione di Eva, come miglior attrice dell'anno. La narrazione si dipana da queste prime sequenze, seguendo il racconto dei vari personaggi coinvolti nella storia: un flashback a più voci, dove ogni personaggio interpreta i fatti secondo la propria personalissima visione, naturalmente condizionata dai propri vissuti e dal livello di coinvolgimento emotivo.
Eva contro Eva, titolo fortemente simbolico, mette a confronto l'universo femminile in una sovrapposizione di contesti, il teatro e la vita, la sincerità e la menzogna, il reale e l'immaginario, nei quali e attraverso i quali le passioni umane vengono mostrate nella loro forma più cruda. Il tutto però raccontato nella forma elegante e raffinata di una commedia noir.
Il film vinse ben sei Oscar (tra cui miglior film, regia, sceneggiatura non originale, attore non protagonista George Sanders). Si racconta che Bette Davis (solo nomination quale miglior attrice assieme proprio ad Anne Baxter, ma entrambe superate da Judy Holliday per il film Nata ieri di George Cuckor con William Holden) fu scritturata nonostante la forte opposizione del produttore Darryl F. Zanuck, che mal sopportava la forte personalità dell'attrice.
Una piccola parte ce l'ha anche Marylin Monroe. Lo stesso anno avrebbe lavorato anche con Huston in Giungla d'asfalto con il quale poi, undici anni dopo, avrebbe girato il suo ultimo film, Gli spostati.

Visto lunedì 20 aprile
Train de vie - Un treno per vivere - 1998
Regia: Radu Mihaileanu
Soggetto: Radu Mihaileanu
Sceneggiatura: Elodie Van Beuren, Radu Mihaileanu, Moni Ovadia
Interpreti: Lionel Abelanski, Rufus, Clément Harari, Michel Muller, Agathe de La Fontaine, Johan Leysen
Piccolo grande film questo di Radu Mihaileanu, regista rumeno, trasferitosi a Parigi dal 1980.
(A proposito, lo sapevate che il padre Mordechai Buchman, giornalista, cambiò il suo in “Ion Mihaileanu” per nascondere le sue origini ebraiche, dopo essere fuggito da un campo di concentramento?)
E Mordechai è il nome di uno dei protagonisti di Train de vie – vincitore di numerosi premi alla sua uscita nel 1998, tra cui anche il David di Donatello. Mordechai, Yossi, Esther, Schmecht, Yankelei , il Rabbino e naturalmente Shlomo lo stolto: sono tanti i protagonisti di questa storia fantastica, quasi a significare le molteplici anime del popolo ebraico  che fa fatto dell’unità e del suo forte senso di appartenenza e identità la sua cifra esistenziale. Il film si snoda sul confine che divide realtà e sogno, cullati dal rumore delle rotaie che ci conduce tra momenti di squisita autoironia e scenette familiari sullo sfondo di una realtà che si cerca di fuggire con lo sbuffante treno della vita il cui carburante non sembra finire mai. Il film si inserisce nel solco delle opere che puntano ad esorcizzare uno dei periodi più terribili della storia dell’umanità, come ad esempio La vita è bella di Roberto Benigni che era stato scelto da Mihaileanu per interpretare il ruolo di Shlomo. L’attore e regista toscano rifiutò proprio perché impegnato con il film con il quale poi vinse l’Oscar.
"C'era una volta un piccolo "shtetl", un piccolo villaggio ebraico dell'Europa dell'est, era l'anno 5701, cioè 1941 secondo il nuovo calendario. Era d'estate, l'estate del 1941, il mese di luglio, credo... Io fuggivo credendo che si potesse fuggire, da ciò che si è già visto, troppo visto. Correvo per avvertirli. I miei, il mio "shtetl", il mio villaggio. E questa è la storia, del mio villaggio così come tutti noi l'abbiamo vissuta.
Queste, sarebbero state le sue prime parole nel film.

Visto martedì 21 aprile
Full Monty - Squattrinati organizzati – 1997
Regia: Peter Cattaneo
Sceneggiatura: Simon Beaufoy
Interpreti: Robert Carlyle, Mark Addy, William Snape, Steve Huison, Tom Wilkinson, Paul Barber, Hugo Speer,
Lesley Sharp
Se c’è un ringraziamento da fare a Margaret Thatcher è quello di aver provocato grazie alla sua politica che causò un forte disagio sociale, un movimento di protesta che trovò nel cinema una delle sue massime espressioni. Molti sono i film girati degli anni ’90 che descrivono questo periodo di forte contrasto politico, (basti pensare alla produzione di un tipo che si chiama Ken Loach), fra questi, Full Monty, vi entra a pieno diritto.
La storia originale, scritta da Simon Beaufoy (candidato all’Oscar, premio che poi vincerà per la miglior sceneggiatura non originale con The Millionaire), racconta le vicende di alcuni disoccupati di  Sheffield che per sbarcare il unario decidono di mettere su uno spettacolo di spogliarello maschile, promettendo un “nudo integrale”.
Il film gioca tutta la sua brillantezza sull’equivoco di fondo di corpi, visi e personalità del tutto inadatte ad uno spettacolo del genere. La sublimazione dell’arte dell’arrangiarsi è in quei muscoli flaccidi, nelle carni bianche da polli spennati, nelle movenze goffe che danzano, a dispetto di tutto e di tutti, sulle  note di   “You Can Leave Your Hat On”. Il regista Peter Cattaneo, coglie con delicatezza e rimanendo sempre nell’alveo della commedia, il disagio psicologico di chi è costretto a rimettersi in gioco, ed in quale sconvolgente maniera, per non perdere dignità e (auto)stima. 
Si racconta che i sei protagonisti si spogliarono per intero nel corso della sequenza finale del film e che la produzione, per aiutare gli attori a rilassarsi durante l'ultima “Imbarazzante” sequenza, consentì l'uso di alcolici sul set.
Con Robert Carlyle e Tom Wilkinson tra i protagonisti, il film incassò quasi 260 milioni di dollari contro i 3 e mezzo di costi di produzione e divenne poi un apprezzatissimo musical teatrale.

ZeroZeroZero – 2020
Serie TV
Stagione 1 - 8 episodi
Piattaforma SKY
Regia: Stefano Sollima, Janus Metz, Pablo Trapero
Soggetto: ZeroZeroZero di Roberto Saviano; trattamento e soggetti di Stefano Bises, Leonardo Fasoli, Roberto Saviano, Stefano Sollima, Mauricio Katz, Max Hurwitz
Sceneggiatura: Leonardo Fasoli, Mauricio Katz, Stefano Sollima, Max Hurwitz, Maddalena Ravagli
Interpreti: Andrea Riseborough, Dane DeHaan, Giuseppe De Domenico, Adriano Chiaramida, Harold Torres
Noé Hernández, Tchéky Karyo, Francesco Colella, Gabriel Byrne
Basata sull’omonimo romanzo di Roberto Saviano (che ha partecipato anche al trattamento)  e presentata da Sky Atlantic, Canal+ e Amazon Prime Video racconta le vicende di un carico di cocaina che dalla Colombia deve arrivare fino in Calabria (al porto di Gioia Tauro, per l’esattezza).
Protagonisti della storia sono dunque i produttori (i cartelli colombiani) , gli intermediari (una famiglia americana che si destreggia tra Monterrey e New Orleans) e gli acquirenti (la ‘ndrangheta calabrese con sede a San Luca).
Questa tripartizione è la linea conduttrice delle 8 puntate della serie. Una suddivisione rigidissima che un montaggio poco fluido ed elastico non contribuisce ad alleggerire. Tre veri e propri film che si alternano in lunghissimi periodi, a loro volta appesantiti da flashback mal gestiti ai quali ci si inizia ad abituare, e a riconoscerli, dopo almeno un paio di puntate. E questa rigorosa scrittura si riverbera su tutta l’opera rendendola a tratti anche inverosimile (tutta la parte ambientata in Messico, con le bande paramilitari che prendono il potere, si fa francamente fatica ad accettarla).
Tutto sommato un peccato, perché soprattutto nel tratteggio dei personaggi si nota il lavoro di grande approfondimento introspettivo e questo aspetto rimane la cosa migliore della serie (come d’altronde era in Gomorra di cui la parte creativa è la stessa, Stefano Bises e Stefano Sollima su tutti. Sollima è anche uno dei tre registi, assieme all’argentino Pablo Trapero e al danese Janus Metz, il regista di Borg McEnroe).
La produzione, comunque, è di quelle importanti e lo dimostra  la scelta di un cast internazionale nel quale spicca la bravissima Andrea Riseborough – attrice inglese dalla forte carica espressiva – e Gabriel Byrne, un attore per tutte le stagioni…

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