Steno e la sua arte di far ridere

La mostra su Steno è nata proprio mentre lavoravamo a quella su Ettore Scola due anni fa. Tra l’altro, Scola ci lasciò un anno fa proprio il 19 Gennaio, giorno in cui, invece, nacque Steno. Analizzando insieme a Nevio i momenti più importanti della formazione di Scola, ci siamo resi conto del fatto che Steno era il nome maggiormente ricorrente. Quando Scola entrò al Marc’Aurelio collaborò per pochissimo tempo con Steno, che già faceva cinema e che è stato il primo redattore della rivista umoristica ad approdare nel mondo della Settima arte. Quindi, anche Ettore Scola, come gli altri lì presenti, vedevano Steno in qualità di grandissimo personaggio. Scola più volte diceva ‘Quanto vorrei essere Steno quando era giovane’ e fu uno dei primi a darci informazioni personali e importanti sul regista. Questa mostra nasce dal presupposto fondamentale di raccontare un cinema che univa e non divideva, ovvero la maniera in cui, grazie anche al Marc’Aurelio, si erano creati dei veri e propri sodalizi di persone che avevano passato la guerra ed erano approdati al set dopo aver lavorato insieme nei giornali, senza abbandonarsi mai. Un aspetto che oggi non c’è più”.

In principio fu Stefano...
Curatore insieme a Nevio De Pascalis della mostra Steno, l’arte di far ridere, che sarà allestita dal 12 Aprile al 5 Giugno 2017 presso la Galleria Nazionale d’arte Moderna, a parlare alla stampa romana è Marco Dionisi affiancato, da Leopoldo Chizoniti dell’associazione Show Eventi, da Piera Detassis – presidente della Fondazione Cinema per Roma – e dall’appena citato collega, il quale aggiunge: “La mostra racconterà la storia di questo grande intellettuale del cinema italiano partendo dall’infanzia, dai suoi studi e dal percorso lavorativo nei giornali, fino all’ingresso nel mondo del cinema. Una seconda parte, poi, affronterà temi specifici come il rapporto che ha avuto con diversi attori. Inoltre, vi sarà una parte legata alla censura, soprattutto negli anni Cinquanta, quando nel cinema italiano era molto forte e si scagliò, appunto, contro il suo Le avventure di Giacomo Casanova. E vi saranno anche il rapporto con la famiglia, con i figli, la maniera in cui considerava il lavoro, le amicizie che ha avuto. Infine, lo Steno scrittore, che Ettore Scola ricordava come una penna tagliente. La nostra generazione, tra l’altro, è cresciuta con gli ultimi film di Steno, dai vari film di Piedone a Banana Joe, quindi, per noi è stato un privilegio curare questa mostra”.

Mostra per realizzare la quale sono stati raccolti un’infinità di carteggi, copie originali delle riviste umoristiche dell’epoca, fotografie, filmati dell’Istituto Luce, cinegiornali e qualche oggetto personale del cineasta, di cui la famiglia e l’archivio Latitudine hanno concesso moltissime immagini e sul quale il figlio regista Carlo, presente all’incontro, ha precisato: “Il nome Steno era una contrazione di Stefano, usato per firmare vignette perché in esse non vi era molto spazio per scrivere. Si dice che si rifacesse anche ad una scrittrice, Flavia Steno, ma non so quanto sia vero, è una delle versioni che girano riguardo alla faccenda”.

La famiglia Vanzina ringrazia
Perché, al di là di Anastasia mio fratello interpretato da Alberto Sordi, l’unico film che firmò come Stefano Vanzina fu, nel 1972, La polizia ringrazia, apripista del filone poliziottesco, in quanto il produttore Roberto Infascelli gli disse che, dirigendolo come Steno, gli spettatori avrebbero potuto erroneamente pensare che la pellicola fosse una commedia. 

E non poco divertente, a riguardo, è l’aneddoto relativo alla critica del film riportata all’epoca in un giornale di siciliano da un recensore che scrisse “Questo Stefano Vanzina, al suo primo film, sembra già un regista consumato”.

Il regista che non sapeva cosa rispondere quando gli si chiedeva chi preferisse tra il già citato Sordi e Totò, che, all’interno di una filmografia di circa ottanta titoli, ha avuto modo di dirigere fin dai suoi primi passi dietro la macchina da presa grazie al Totò cerca casa che – co-diretto da Mario Monicelli – precedette nel 1949 non poche altre successive collaborazioni con il fu principe Antonio de Curtis, da Totò a colori a Totò contro i quattro; senza dimenticare, tra gli altri, Letto a tre piazze, I due colonnelli e il Totò diabolicus la cui sequenza dell’operazione chirurgica dopo aver perso gli occhiali viene citata dall’altro figlio Enrico Vanzina durante la conferenza, insieme a quella dell’iniezione ne I Tartassati e al monologo di Gigi Proietti che spiega cosa sia uno scommettitore da ippodromo Febbre da cavallo.

Mentre la corsa dello stesso Totò insieme ad Aldo Fabrizi in Guardie e Ladri (altra co-regia di Monicelli) e l’indimenticabile momento in cui Sordi mangia la pastasciutta in Un americano a Roma – derivato dalla precedente pellicola ad episodi Un giorno in pretura – vengono ricordate da Carlo, sul quale Enrico aggiunge: “Io vorrei ringraziare molto Carlo, perché, con la sua tenacia e la sua forza, ha sempre voluto ricordare. ”Forse, questa mostra vuole anche essere un incitamento ad altri come i figli di Risi, di Tognazzi e di Gassman a non mollare i ricordi, perché questo paese si regge anche su questo. La parola ‘rottamare’ va bene per certe cose, ma per altre no. Tutto ciò non va rottamato assolutamente”.

Ste(fa)no... quante storie
Una mostra, dunque, che rappresenta un evento imperdibile per tutti i fan di colui che, figlio del giornalista Alberto Vanzina (emigrato in Argentina in gioventù) e di Giulia Boggio, rimase orfano a tre anni e con la famiglia versante in gravi difficoltà economiche; per poi diplomarsi come scenografo all'Accademia di Belle Arti ed entrare verso la metà degli anni Trenta al Centro Sperimentale di Cinematografia. Colui che, come già sopra testimoniato, cominciò ad adottare lo pseudonimo Steno quando iniziò a disegnare caricature ed a curare vignette ed articoli umoristici, dedicandosi anche alla scrittura di copioni radiofonici e testi per il teatro di avanspettacolo; fino a diventare sceneggiatore, gagman e aiuto regista in molti film diretti da Mario Mattoli.

Suoi furono gli script di lungometraggi realizzati da altri cineasti, da Carlo Ludovico Bragaglia a Giorgio Simonelli, prima che si trasformasse nell’ironico e dissacrante maestro della Commedia all’italiana che, nato nel 1917, ci ha lasciati nel 1988, dopo essersi dedicato alla serie televisiva Big man, interpretata da Bud Spencer, soltanto un anno più tardi rispetto alla sua ultima fatica cinematografica: lo sfortunato ma profetico – come un po’ tutti i suoi lavori e quelli del figlio – Animali metropolitani. Maestro che ha oltretutto avuto modo di avere come attore il grandissimo Orson Welles ne L’uomo, la bestia e la virtù, nel corso di una tutt’altro che breve carriera in cui non pochi sono stati i nomi della celluloide nostrana al suo servizio; da Renato Rascel a Paolo Villaggio, passando per Diego Abatantuono, Ugo Tognazzi, Franca Valeri, Rita Pavone, Terence Hill, Raimondo Vianello, Renato Pozzetto, Johnny Dorelli, Lando Buzzanca, Enrico Montesano e le bellezze Marisa Allasio, Mariangela Melato, Sylva Koscina, Ornella Muti ed Edwige Fenech.

Per celebrarlo con una visione, di conseguenza, la scelta è non poco difficile, perché c’è da scegliere tra un Piccola posta e un Susanna tutta panna, ma anche tra un Bonnie e Clyde all’italiana e La poliziotta, per sfociare nelle pure parodie Tempi duri per i vampiri, Arrriva Dorellik e Dottor Jekyll e gentile signora.
Ricordarli tutti all’interno di questo spazio sarebbe un’impresa piuttosto ardua... intanto, magari, individuatelo in Violette nei capelli, Cinema d’altri tempi e Femmine tre volte, nei quali è coinvolto in qualità di attore.