Sulle tracce dell’Enigmista: tutte le torture di Jigsaw

Penso che il genere horror consenta di superare i limiti imposti dalle convenzioni. Ho sempre considerato questo progetto come un ‘giallo’, un film del mistero. Ho preso la storia di un thriller e l’ho raccontata con lo stile di un horror”.
Queste, nel 2004, furono le parole del malese James Wan a proposito di quel Saw – L’enigmista che non solo lo trasformò immediatamente nel nuovo maestro della paura su celluloide, ma, insieme al successivo Hostel di Eli Roth, provvide a far esplodere la moda cinematografica del cosiddetto torture porn, ovvero il filone costituito dalla minuziosa descrizione grafica di delitti a base di insostenibili torture ai danni di poveri malcapitati.
Da Captivity di Roland Joffé a The collector di Marcus Dunstan, infatti, non pochi sono stati i titoli sfornati sulla scia del già classico waniano, che ha finito per generare una vera e propria saga rendendo il suo boogeyman protagonista Jigsaw il Freddy Krueger d’inizio terzo millennio.

Il Jigsaw che torna ora nelle sale italiane nel guardabile ma non molto esaltante Saw Legacy di Michael e Peter Spierig - più vicino a un thriller d'impronta poliziesca che a un vero e proprio splatter - e che, a differenza dello squarta-adolescenti creato da Wes Craven, il quale agiva nella dimensione onirica divenendo l’incubo del cosiddetto “sogno americano” degli anni Ottanta, si muove nella realtà con tanto di grave malattia ad affliggerlo; incarnando la sofferenza di un pianeta Terra post-11 Settembre 2001 costretto a fare i conti con orrori decisamente più dolorosi e poco vicini a quelli d’intrattenimento dispensati dalla Settima arte.

Saw – L’enigmista (2004)
Ricordando non poco Cube – Il cubo di Vincenzo Natali, si comincia da un uomo che si risveglia in una vasca colma d’acqua per scoprire prima di avere un piede incatenato al muro di uno squallido sotterraneo, poi che, oltre ad un corpo privo di vita, nella stessa identica situazione, all’interno del posto, si trova anche il dottor Gordon.

Con i due che apprendono di essere prigionieri di un ignoto folle conosciuto come Jigsaw e che, ricercato dalla polizia, comunica loro – tramite messaggi registrati – informazioni utili per poter trovare il nascondiglio in cui si trova la chiave che consentirebbe di liberare le catene, ci si immerge quindi in un claustrofobico involucro da schermo, quasi privo di sequenze ambientate in esterni e destinato a manifestare i connotati di un lungo puzzle costituito di indizi progressivamente lasciati emergere. Man mano che si rivela essere quello di far sì che uno dei due elimini l’altro entro otto ore lo scopo del serial killer, fortemente debitore nei confronti dell’assassino di Seven e capace di porre le sue future vittime dinanzi a terrificanti scelte da cui dipende la loro stessa vita. Sebbene, a differenza del thriller di David Fincher, il capostipite sawiano presenta il pregio di non aver timore di osare nelle immagini esplicite e nello shock visivo, tra corpi smembrati come in un incubo di Clive Barker e un individuoche, per evitare di finire sepolto vivo, s’infila in una rete che gli squarcia la carne. Ma mai inscenando in maniera gratuita la violenza e è tenendo abilmente in tensione fino al sorprendente epilogo, degno dei migliori lavori di M. Night Shyamalan e probabile attacco al falso perbenismo che caratterizza l’ American dream (e non solo).

Saw II – La soluzione dell’enigma (2005)
A finire prigioniere del sadico Jigsaw non sono stavolta due sole persone, bensì otto, tra cui il giovane figlio di un detective. Del resto, come vuole una delle principali leggi legate al cinema horror, nei sequel non solo le scene di omicidio devono essere maggiormente elaborate, ma il numero dei morti aumenta.

Quindi, se il folgorante e disturbante incipit annovera uno sfortunato alle prese con un diabolico meccanismo a tempo collegato ad una sorta di maschera chiodata che sembra uscita da La maschera del demonio di Mario Bava, non mancano siringhe, fuoco e gas nervino tra le armi utilizzate contro il nuovo campionario di vittime in aria di slasher (sottogenere costituito da uccisioni a ripetizione in uno spazio più o meno chiuso).

Ma, sostituito Wan – qui relegato al solo ruolo di produttore esecutivo – al timone di regia, lo specialista in spot pubblicitari Darren Lynn Bousman non confeziona affatto un secondo capitolo inferiore al capostipite, in quanto, pur mostrando fin dall’inizio il volto dell’omicida interpretato da Tobin Bell, coinvolge con la giusta dose di mistero attraverso una narrazione veloce e l’introduzione di momenti shockanti che mettono a durissima prova non solo gli spettatori impressionabili. Mentre emergono allegorie sui rapporti tra padri e figli e veniamo condotti a tutt’altro che aspettate rivelazioni finali. 

Saw III – L’enigma senza fine (2006)
Sfuggito alla polizia ed affiancato da una complice, Jigsaw è ancora a caccia di sventurate vittime da sottoporre ai suoi perversi test, mentre il cancro provvede a consumarlo ed una dottoressa si trova costretta a fare di tutto per tenerlo in vita. Ed è un padre desideroso di vendetta nei confronti dell’uomo che causò la morte del figlio in un incidente automobilistico ad essere introdotto in un percorso da affrontare attraverso il conseguimento dei classici, diabolici “giochi enigmistici” che, di conseguenza, fa da sostituto alla “ristretta” situazione di prigionia proto-Cube su cui vennero costruiti i primi due episodi.

Un nuovo aspetto che non manca, comunque, di trasmettere claustrofobia; man mano che il ritornato dietro la macchina da presa Darren Lynn Bousman sviluppa due trame in parallelo tempestandole di atrocità. Ma, tra toraci scoperchiati, un’operazione chirurgica a cranio aperto e piccoli uncini conficcati nella carne, appare evidente il maldestro tentativo di camuffare la pochezza della oltre ora e cinquanta di stanca visione facendo ricorso a sequenze di tortura e morte sempre più elaborate e grondanti emoglobina.

Un ampliamento della violenza che funziona sicuramente all’interno di saghe quali Venerdì 13 e Halloween, caratterizzate da un effetto liberatorio dovuto a molte ma poco dettagliate uccisioni e che, di conseguenza, assume in questo caso i connotati di un gioco di celluloide forzatamente compiaciuto e di cattivo gusto. Con tanto di twist ending meno inaspettato del solito e poco soddisfacente.

Saw IV (2007)
Da un lato abbiamo un comandante della SWAT alle prese con il classico percorso tempestato di diabolici “giochi enigmistici” nel tentativo di portare in salvo un vecchio amico entro novanta minuti, dall’altro apprendiamo la genesi di Jigsaw tramite le testimonianze della ex moglie Jill alias Betsy Russell, le quali fanno parte delle indagini condotte da due agenti dell’FBI Strahm in seguito alla morte di una detective.

Con Darren Lynn Bousman nuovamente al timone di regia, quindi, è un incrocio tra prequel e sequel quello che tende a sviluppare due trame in parallelo come già avvenuto nel terzo capitolo; da cui, fortunatamente, nonostante l’impressionante autopsia d’apertura ed efferate sequenze di omicidio quella in cui un tizio con gli occhi cuciti ed un altro con le labbra serrate allo stesso modo si trovano legati al medesimo marchingegno, non riprende l’eccessiva carica di sadismo che aveva finito per trasformare tutto in un gioco di celluloide di cattivo gusto.

Infatti, man mano che emergono chiarimenti di punti rimasti in sospeso proprio in quel caso, ai momenti di violenza distribuiti a dovere viene privilegiato un non banale intreccio più vicino al thriller poliziesco a tinte splatter che alle pure storie dell’orrore. Ed è un discreto ritmo che difficilmente permette allo spettatore di distogliersi dalla visione ad accompagnare una apprezzabile ma non eccelsa continuazione volta a fornire nuovi elementi all’interno di una saga ormai in preda alla ripetitività tipica del filone ed alle leggi di mercato.

Saw V (2008)
Con il volto di Costas Mandylor, l’investigatore Mark Hoffman sembra essere l’unica persona che porta avanti l’eredità di Jigsaw, impegnato a difendere il suo segreto eliminando tutte le questioni rimaste in sospeso.

Superato lo shockante incipit in probabile omaggio a Il pozzo e il pendolo di Edgar Allan Poe, quindi, la saga incentrata su quello che Luke Thomson del L.A. Weekly ha giustamente definito il migliore e più realistico antieroe horror dai tempi dell’Hannibal Lecter di Anthony Hopkins, ha intrapreso in maniera furba, ma anche intelligente, una strada che, dinanzi all’impossibile resurrezione dell’eliminato “mostro” protagonista, trova ingegnosamente il modo di proseguire il racconto soltanto scavando nella sua mente e nei suoi macabri trascorsi.

Uno stratagemma narrativo atto a lasciar emergere in maniera progressiva dettagli ed aspetti nascosti che finiscono per delineare sullo schermo l’evoluzione di un personaggio in realtà già morto e sepolto; mentre viene tirata di nuovo in ballo la figura dell’agente dell’FBI Strahm alias Scott Patterson e l’obiettivo della macchina da presa risulta rivolto principalmente a far luce sui retroscena alla base della costruzione del sanguinolento enigmismo che attraversa l’intera serie.

Serie che, come avvenuto nel terzo e quarto tassello, inscena sotto la regia del nuovo arrivato David Hackl (scenografo di Saw II – La soluzione dell’enigma, Saw III – L’enigma senza fine e Saw IV) un complicato intreccio tra il poliziesco e il thriller a tinte splatter costruito sul continuo alternarsi di presente e passato. Per un quinto massacro non distante nel look generale da tanti prodotti straight to video, ma ritmato a dovere e leggermente superiore rispetto al guardabile precedente.

Saw VI (2009)
Superata quella che possiamo tranquillamente annoverare tra le più violente e shockanti sequenze di tutto il franchise, ritroviamo in scena non solo l’investigatore Mark Hoffman, ormai erede di John Kramer alias Jigsaw, ma anche Jill Tuck, moglie del defunto serial killer; ma, tra progressive rivelazioni e dettagli che emergono al fine di fornire spiegazioni riguardanti alcuni aspetti dei primi cinque episodi, questo sesto capitolo si concentra però sulla figura dell’imprenditore delle assicurazioni mediche William Easton, che, costretto a negare un prestito a un uomo disperato e bisognoso di importanti cure, si trova ad affrontare un percorso tempestato di strumenti di tortura ed atroci scelte da effettuare.

La tipologia di soggetto, quindi, si rifà di sicuro a quella già alla base di Saw III – L’enigma senza fine, con la differenza che, tra impiccagioni, acido idrofluorico e perfino una sorta di giostra-roulette russa, il sadismo messo in scena dall’esordiente dietro la macchina da presa Kevin Greutert (montatore di buona parte della saga) non appare in questo caso gratuito, bensì intelligentemente finalizzato ad incarnare in maniera più o meno metaforica dinamiche e ripercussioni dell’universo lavorativo aziendale, tempio dell’avidità e dell’arrivismo.

Con particolare riferimento al sistema sanitario a stelle e strisce e alla tanto di scussa crisi, al servizio di uno dei più riusciti titoli dell’epopea enigmistica.

Saw – Il capitolo finale (2010)
Kevin Greutert torna al timone di regia, ma, anziché ricollegarsi al finale del suo Saw VI, riparte dalla figura del dottor Gordon visto nel primo capitolo, impegnato a trascinarsi per terra senza il piede destro, del quale era stato costretto a privarsi proprio per colpa di Jigsaw.

Infatti, è principalmente quello di riordinare gli indizi e dare un senso compiuto alla serie l’obiettivo di questo episodio girato in tre dimensioni, che, dopo la consueta, shockante sequenza di morte introduttiva (che si svolge stavolta in pieno giorno davanti agli occhi di una folla cittadina), tira nuovamente in ballo l’investigatore Hoffman. E, in maniera analoga a ciò che accadeva nel film precedente all’imprenditore delle assicurazioni mediche, ad attraversare un percorso tempestato di strumenti di tortura ed atroci scelte da effettuare è il Bobby Degen interpretato da Sean Patrick Flanery, il quale sembrerebbe aver raggiunto la popolarità proprio perché sfuggito a dei ganci a cui lo appese Jigsaw. Quindi, tra spuntoni vari che avanzano verso occhi e gole delle vittime e interiora lanciate contro la camera al fine di sfruttare il sistema di visione tridimensionale, il campionario delle geniali efferatezze risulta corposo come al solito, destinato a coinvolgere razzisti, lame rotanti e perfino una situazione che mette a dura prova tutti coloro che hanno paura del dentista.

E l’impressione generale è sempre più quella di assistere ad un liberatorio slasher che ad un sofferto torture porn, qui volto in maniera evidente ad attaccare i media ed i loro perversi meccanismi atti a regalare la fama attraverso sistemi e stratagemmi spesso noncuranti della moralità.
Testimoniando la maniera in cui il tanto denigrato cinema splatter possa essere sfruttato con intelligenza.