The gore gore man: tutti gli squartamenti (e non solo) di Herschell Gordon Lewis

Tutti coloro che sono cresciuti in preda alla fame di curiosità nei confronti della folta giungla di midnight movie e (s)cult da drive in che, popolari negli Stati Uniti tra gli anni Sessanta e Settanta, difficilmente potevano arrivare sui grandi schermi dello stivale tricolore, nei due decenni successivi a quella sporca e cattiva epoca cinematografica non si lasciarono certo sfuggire l’occasione di andarli a scovare con caparbietà – nel vastissimo universo del collezionismo – in copie vhs spesso caratterizzate da qualità audiovisiva lontanissima dall’essere perfetta.
Copie vhs che bastavano da sole, comunque, a  fare la felicità di chi non intendeva accontentarsi della più o meno edulcorata Settima arte da blockbuster che approdava in Italia per andare a cercare emozioni forti attraverso oscuri oggetti del desiderio di celluloide trasudanti trasgressione e violenza, molto tempo prima che provvedessero le pay tv e i dvd a riscoprirli.  

Oscuri oggetti del desiderio tra i quali rientrano a pieno titolo un po’ tutti i lavori dell’Herschell Gordon Lewis nato a Pittsburgh il 15 Giugno del 1929 e scomparso a Fort Lauderdale il 26 Settembre del 2016, lasciandosi alle spalle una filmografia costituita da oltre trenta lungometraggi.

Prima del massacro...
Ma chi era Herschell Gordon Lewis?
Laureatosi in giornalismo presso la Northwestern University di Evanston e divenuto professore di letteratura inglese al Mississipi State College, abbandonò l’insegnamento per fare da direttore in alcune radio private e, dopo essersi dedicato a spot pubblicitari, finanziò nel 1960 The Prime Time di Gordon Weisenborn, storia della conturbante relazione tra un pittore psicotico e una giovane ragazza.

Soltanto un anno prima dell’inizio del suo sodalizio con David F. Friedman, socio storico nella produzione e nella distribuzione, insieme al quale, dopo aver concepito il ménage à troi di Living Venus, si gettò nella realizzazione di una trentina di pellicole a base di sesso e violenza, risultando accreditati in qualità di regista e produttore, però, soltanto in sette di esse.

Del resto, trattandosi del periodo dei cosiddetti Nudies e in cui spopolò l’”abbondante” cinema di Russ Meyer, i due non poterono certo esimersi dal mettere in piedi nel corso dei primi tre anni del decennio beatlesiano le commedie erotiche The Adventures of Lucky Pierre, Boin-n-g Bell, Bare and Beautiful, insieme a tre pseudo-documentari atti ad inscenare avventure sessuali tra naturisti: Daughter of the Sun, Nature's Playmates e Goldilocks and the three bares.

Prima di tirare in ballo un fotografo legato a una banda di delinquenti e dedito ad affari attraverso la vendita di immagini di giovani donne violentate in Scum of the Earth; datato 1963 come quel Blood feast che non solo consegnò Lewis alla storia dei fotogrammi in movimento, ma la cambiò per sempre.

... che la festa di sangue abbia inizio!  
Perché, costruito su uno specialista in cibi esotici impegnato a smembrare povere malcapitate per riportare in vita la dea Ishtar durante un festino egizio, Blood feast fu il primo film a mostrare esplicitamente – come i nudi nel filone erotico – sangue a colori e squartamenti, segnando la nascita di quel sottogenere chiamato “gore, poi denominato “splatter” (da “to splat”, che significa “spruzzare”) nel libro Splatter movies, scritto nel 1981 dal giornalista John McCarthy.

Un lavoro a bassissimo costo e decisamente trash che la critica non esitò a stroncare pesantemente; al contrario del pubblico, che lo premiò tanto da spingere il cineasta a mettere immediatamente in cantiere, nel 1964, 2000 Maniaci, partorito con un budget superiore e riguardante la brutta avventura di tre coppie di turisti alle prese nel Sud degli Stati Uniti con gli abitanti di Pleasant Valley, in realtà massacrati un secolo addietro dagli unionisti e, quindi, in cerca di vendetta.

Un secondo horror meno visivamente esagerato – nonostante uccisioni con lascia e un individuo i cui arti vengono legati a quattro cavalli poi fatti correre in direzione opposta l’uno dagli altri – ma artisticamente più maturo e apprezzabile del precedente, che aveva oltretutto portato ad estendere il divieto ai minori alle scene di violenza, in quanto prima limitato solo al sesso e al linguaggio offensivo.

Un secondo horror nel cui stesso anno il “padrino dello splatter” si dedicò alla vicenda di un cantante folk coinvolto nel contrabbando di liquori in Moonshine mountain; per poi concludere nel 1965 sia la sua ideale trilogia sanguinolenta che la collaborazione con Friedman firmando Color me blood red, incentrato su un pittore folle che usa il sangue delle proprie modelle per dipingere e di cui Gian Carlo e Gian Luca Castoldi hanno scritto nella loro Guida al cinema splatter: “Qualcuno ha letto il film come una metafora della carriera dello stesso Lewis, un artista che, per ottenere il successo, si spinge sempre più in là, fino all’eccesso”. 

Sapore di sa...ngue!
Eccesso di cui ha continuato a non poter fare a meno neppure in seguito, in quanto, superate le parentesi rappresentate dal documentario Sin, suffer and repent, dal fantascientifico Monster a-go go (co-diretto da Bill Rebane, ma, in realtà, film incompleto acquistato per essere poi fornito di prologo narrato e di alcune sequenze appositamente girate), dalla favola per famiglie Jimmy, the Boy Wonder e dallo stregonesco Something Weird, tornò ad imbrattare di liquido rosso le sale con A taste of blood e The Gruesome Twosome, entrambi del 1967.

Denominato da qualche critico “il Via col vento del gore”, il primo – che avrebbe inizialmente dovuto coinvolgere il re dei b-movie Roger Corman – raccontò di un vampiro intento a vendicare la morte di Dracula, mentre il secondo si concentrò su madre e figlio dediti a scalpare studentesse per ottenere merce da esporre all’interno del loro negozio di parrucche.

Venuti alla luce contemporaneamente a The Girl, the Body, and the Pill, su un’insegnante di educazione sessuale licenziata per poi continuare a dare lezioni private in casa dei suoi ex studenti, a Blast-Off Girls, storia di un gruppo musicale garage in cerca di popolarità, e al fiabesco The Magic Land of Mother Goose.

Anticipando un 1968 all’insegna degli scambi di coppie di Suburban Roulette, della disinibita adolescente di The Alley Tramp, del professore sfigato e intento a costruire una bambola robot capace di soddisfarlo sessualmente in How to Make a Doll, della delinquenza giovanile di Just for the Hell of It e della vera banda di motocicliste femmine del biker movie She-Devils on Wheels.

Un 1968 in cui si dedicò anche alla sceneggiatura del dramma a base di parapsicologia The psychic di James F. Hurley, per poi effettuare un anno più tardi un ritorno al sexploitation con The Ecstasies of Women e la pellicola western Linda and Abilene.

Taglio finale!
Sketch comici a base di sesso furono al centro di Miss Nymphet's Zap-In, che, insieme a Chicago 70 di Kerry Feitham, di cui Lewis curò soltanto lo script, aprì nel 1970 il decennio che riportò il filmmaker al tripudio di emoglobina e frattaglie con il truculentissimo The Wizard of Gore, il cui protagonista fu un illusionista votato a sottoporre a terribili torture le volontarie del pubblico, le quali, tornate poi incolumi, morivano più tardi.

Ma anche il decennio che ne segnò il ritiro dalla Settima arte, in quanto, completati tra il 1971 e il 1972 Black LoveThis stuff’ll kill ya! e Year of the Yahoo!, lo portò ad abbandonare la macchina da presa dopo The Gore Gore Girls, focalizzato sugli omicidi di ballerine in topless di bar e night club attuati da un misterioso killer probabilmente derivato dai primi thriller di Dario Argento.

Un giallo sanguinolento che arrivava addirittura a sfiorare la parodia (memorabile la sequenza in cui i capezzoli di una donna vengono tagliati per poi lasciar uscire l’uno latte, l’altro cioccolato) e in seguito alla cui uscita Lewis – se escludiamo le sue sceneggiature per i due western televisivi Bridger di David Lowell Rich e Wanted: The Sundance woman di Lee Philips – fondò una società di marketing per lavorare esclusivamente in ambito pubblicitario.

Fino al momento in cui, proprio insieme al vecchio compagno di cinema Friedman, non decise di tornare nel 2002 con Blood Feast 2: All U Can Eat, facendo continuare al nipote del personaggio del capostipite le sue imprese sanguinarie.

Un sequel decisamente inaspettato e che, in un’epoca ormai dominata dall’effettistica digitale e da un cinema indipendente non più capace di osare in estrema volenza come un tempo, ha provveduto a riportare fan e amanti della serie z al divertente sapore trash di un tempo.

Precedendo di sette anni l’ultimissima prova registica lewisiana: The Uh-oh Show, evidente attacco ai moderni reality attraverso uno spettacolo a premi basato su atroci torture da infliggere ai concorrenti in caso di errore.

Sebbene il caro vecchio Herschell – che, tra l’altro, potete ammirare in vesti di attore in Tonight you die di Jim Roberts e nello Smash cut interpretato dalla pornostar Sasha Grey – pare sia anche autore insieme a Kevin Littlelight e Melanie Reinboldt del lungometraggio a episodi Herschell Gordon Lewis' BloodMania, in post-produzione nel momento in cui viene licenziato questo magazine.

E non dimentichiamo che The wizard of gore e Two thousand maniacs! sono stati entrambi oggetto di remake rispettivamente nel 2007 e nel 2005, il primo diretto da Jeremy Kasten, il secondo da Tim Sullivan e con il titolo 2001 maniacs, cui lo stesso regista ha dato nel 2010 il sequel 2001 maniacs: Field of screams.