Un 31 Ottobre rosso sangue: viaggio nella saga di Halloween

Haddonfield, Illinois. È la notte del 31 Ottobre del 1963 e, superati i titoli di testa accompagnati da una inquietante colonna sonora debitrice in maniera evidente nei confronti di quella gobliniana di Profondo rosso di Dario Argento, la soggettiva di qualcuno che non vediamo penetra minacciosa in un’abitazione, per poi venire filtrata dai fori per gli occhi di una maschera indossata, appunto, da chi avanza, salendo le scale per arrivare fino ad una ragazza che ha appena finito di fare sesso con il proprio fidanzato e si sta spazzolando i capelli seduta nuda davanti allo specchio. Ragazza che viene trucidata a coltellate proprio dal misterioso individuo mascherato da clown, che solo poco dopo scopriamo essere il fratellino di sei anni Michael Myers.

Un intrigante incipit che, nel lontano 1978, segna per John Carpenter – reduce da Distretto 13: Le brigate della morte – l’ingresso nel cinema della paura regalando agli spettatori Halloween – La notte delle streghe, destinato a segnare una volta per tutte l’inizio del filone slasher (incentrato su omicidi a ripetizione ai danni di persone in uno spazio più o meno chiuso), già precorso – rispettivamente sei e quattro anni prima – da Reazione a catena – Ecologia del delitto di Mario Bava e Black Christmas – Un Natale rosso sangue di Bob Clark.

L’omicida dalla faccia di Shatner
Del resto, la leggenda vuole che il futuro artefice di Christine – La macchina infernale e La cosa abbia concepito il lungometraggio soltanto dopo che il citato autore del giallo natalizio interpretato da Margot Kidder gli ha confidato che, nel caso in cui gli fosse venuto in mente di dargli un seguito, si sarebbe intitolato Halloween e avrebbe raccontato del ritorno nella città natale dell'assassino, fuggito dall'istituto in cui era stato internato. E, prima ancora di ritrovarlo con il volto coperto da una bianca maschera in realtà derivata da quella del capitano Kirk/William Shatner della serie televisiva Star trek, è proprio attraverso la fuga – quindici anni più tardi – attuata dall’ormai adulto Myers che prosegue quello che, vincitore del Festival di Avoriaz, è, a tutt’oggi, il massimo capolavoro carpenteriano, nonché uno dei più riusciti e influenti film dell’orrore della storia del cinema.

Perché perfino il primo Venerdì 13, nel 1980, ha attinto non poco dalla vicenda dell’omicida dedito allo sterminio di teen-ager – tra squartamenti con coltello da macellaio e strangolamenti per mezzo di filo telefonico – durante la vigilia di Ognissanti; sulle cui tracce si mette il dottor Sam Loomis alias Donald Pleasence, che, da sempre, lo aveva tenuto in cura e in possesso del nome che fu, tra l’altro, lo stesso del John Gavin di Psycho di Alfred Hitchcock. Classico, quest’ultimo, al quale la pellicola – ispirata anche al fantascientifico La cosa da un altro mondo di Christian Niby e Howard Hawks per quanto riguarda la fisicità e le lente movenze di Michael – sembra legarsi, inoltre, per altri due motivi: la Janet Leigh che vi periva nella mitica sequenza della doccia era la madre della protagonista Jamie Lee Curtis (al suo esordio), che veste i panni della babysitter Laurie Strode, mentre Norman Bates, proprio come il killer del 31 Ottobre, sembra uccidesse a causa di una sorta di attrazione-repulsione nei confronti del sesso vissuto come atto osceno.

Il signore della morte... o della notte?
La Laurie Strode che, ferita e ignara del fatto che lo psicopatico sia sopravvissuto ai diversi colpi di pistola sparatigli da Loomis, torna nel sequel Il signore della morte, firmato nel 1981 da un debuttante Rick Rosenthal e finanziato e sceneggiato proprio da Carpenter insieme alla Debra Hill che lo aveva affiancato nel capostipite. Sequel che, al di là della rivelazione che vuole l’imponente Myers quale fratello della ragazza, presa in adozione da un’altra famiglia quando era ancora bambina, individua la propria l’originalità, però, soltanto nel grande coraggio mostrato nell’inscenare la nuova violentissima mattanza nei corridoi dell’ospedale in cui è ricoverata, tra martellate in pieno cranio e siringhe conficcate nella tempia (non a caso, in Italia il film è circolato per molto tempo in una versione pesantemente censurata).

Mattanza che precede di un solo anno Halloween III – Il signore della notte di Tommy Lee Wallace, moderna fiaba nera dal sapore fantascientifico e del tutto estranea a quanto raccontato nei due precedenti episodi, in quanto la Curtis si rifiutò di prendervi parte. Infatti, con riusciti effetti speciali di trucco e guardando evidentemente al cinema di David Cronenberg lasciando trasparire anche un certo retrogusto anticapitalista, abbiamo in scena il Tom Atkins di Creepshow impegnato a concedere anima e corpo ad un medico che, nell’indagare su una serie di raccapriccianti omicidi, fa conoscenza con il folle Cochran interpretato da Dan O’Herlihy, fabbricante di maschere di Halloween contenenti un mortale congegno volto a sterminare i bambini. Tra cui quello la cui testa si riduce ad un ammasso di scarafaggi e serpenti dopo aver indossato una maschera raffigurante la classica zucca intagliata, nel corso di uno dei momenti maggiormente memorabili.

I ritorni di Michael Myers
Ma, di sicuro grazie al successo riscosso dalla serie Venerdì 13, nel 1988 viene messo in cantiere Halloween 4 – Il ritorno di Michael Myers di Dwight H. Little, ambientato dieci anni dopo l’esplosione del complesso in cui era ricoverata Laurie e che apre con il famigerato Myers che, da allora in coma, si risveglia proprio a bordo dell’ambulanza che lo sta trasportando all’ospedale di Stato. Un risveglio cui conseguono, ovviamente, eliminazione di infermieri e autista e ricerca della nipotina Jamie, figlia proprio della ormai defunta Laurie (ma gli sceneggiatori non ci spiegano quando e come sia passata a miglior vita) e che vive in casa di genitori adottivi insieme alla sorellastra Rachel, incarnata da Ellie Cornell; mentre Donald Pleasence torna nelle vesti di Loomis, qui sfigurato e claudicante ed intento, come di consueto, a fermare il sempre più invulnerabile e violento serial killer.

In un calderone comprendente dita conficcate in fronte e canne di fucile tra le gambe, al servizio di un tassello che, seppur con meno tensione del solito, si rivela efficacemente conforme alle regole della serialità horror degli anni Ottanta, che prevedevano, tra l’altro, un sempre maggior numero di vittime.

Anticipando di un anno il superiore Halloween 5 – La vendetta di Michael Myers di Dominique Othenin-Girard, nel quale la bambina – in possesso come nel tassello precedente delle fattezze di Danielle Harris – si ritrova ricoverata in una clinica psichiatrica e in contatto telepatico con il pericolosissimo zio, tornato all’opera dopo essersi sbarazzato di un pescatore che lo aveva soccorso sulle rive di un fiume a seguito dei colpi scaraventatigli contro dalla polizia.

Con il giusto mix di meccanismi della suspense forniti dal prototipo ed elevata dose di violenza già sfruttata nel capitolo precedente, abbiamo senza dubbio il miglior sequel della saga, infarcito di sequenze da antologia (citiamo solo la fuga all’interno della diroccata casa Myers) e caratterizzato da un atipico finale aperto che ha avuto spiegazione soltanto nel 1995, attraverso l’eccessivamente ingarbugliato Halloween 6 – La maledizione di Michael Myers di Joe Chapelle.

Un sesto massacro che, dedicato proprio a Pleasence (qui in una delle sue ultime interpretazioni), nel tentativo di rinnovare il franchise non solo recupera addirittura il personaggio del Tommy Doyle – qui con il volto di Paul Rudd – che da bambino visse insieme a Laurie Strode la terrificante notte di Halloween del 1978, ma tira maldestramente in ballo una misteriosa setta e un pargolo dato alla luce da una cresciuta Jamie, ora fornita dei connotati di J.C. Brandy.

Scelte che non fanno altro che complicare inutilmente la storia già tratteggiata nelle prime cinque occasioni, tanto che è in maniera esclusiva la dose di splatter – con inclusa la deflagrazione di una testa – a rimanere nella memoria una volta giunti al termine di un agglomerato esistente anche in una versione producers’ cut, con sequenze montate in maniera differente ed un finale completamente diverso.

Il ritorno di Jamie Lee Curtis
Ed è nel 1998 che, scontento della piega presa dagli ultimi capitoli della serie, Kevin Williamson – sceneggiatore di Scream e So cosa hai fatto – pensa bene di scrivere il trattamento per un settimo appuntamento con il 31 Ottobre di terrore che, ignorando quanto raccontato nelle parti 4, 5 e 6, si riallaccia direttamente a Il signore della morte, recuperando perfino il dimenticato personaggio della dottoressa Marion alias Nancy Stephens, collega del defunto dottor Loomis, e segnando il ritorno di Jamie Lee Curtis nel ruolo che la consegnò al mondo delle immagini in movimento.

Settimo appuntamento intitolato Halloween – 20 anni dopo e che, diretto dallo Steve Miner regista del secondo e terzo Venerdì 13, la rende una Laurie Strode insegnante sotto falsa identità in un college californiano e con un figlio a carico (un giovane Josh Hartnett), pronta ad essere perseguitata, appunto, da Myers, creduto morto durante quella raccapricciante notte del 1978.

Settimo appuntamento che si riduce ad essere, però, l’ennesimo, guardabile sterminio di innocenti senza troppa fantasia, che, pur approdando ad un epilogo decisivo, viene seguìto quattro anni più tardi da Halloween – La resurrezione, con la Curtis coinvolta soltanto per pochi minuti di visione ed il ritorno del sopra menzionato Rosenthal al timone di regia. Un non disprezzabile slasher infarcito di notevoli omicidi (citiamo un treppiede da camera conficcato in gola in probabile omaggio a L’occhio che uccide di Michael Powell) e che immagina la vecchia casa Myers trasformata nello scenario di un reality show seguibile attraverso il web durante la notte di Halloween; quando, appunto, l’immortale proprietario fa ritorno propenso a cancellare dalla faccia della Terra i concorrenti.

Le notti dello Zombie
Fino all’arrivo dietro la macchina da presa di Rob Zombie (all’anagrafe Robert Cummings), che, reduce dal dittico formato da La casa dei 1000 corpi e La casa del diavolo, nonostante il finale lasciato aperto da Rosenthal non mette in piedi un nuovo seguito, ma concretizza nel 2007 un Halloween – The beginning atto a proporsi contemporaneamente in qualità di prequel e rifacimento del titolo del 1978.

Infatti, prima vengono raccontati i retroscena (abbondantemente riveduti, per la verità) che hanno portato il piccolo Michael a trasformarsi nell’implacabile assassino che i fan dell’horror hanno imparato ad amare, poi subentra il remake vero e proprio, con un nutrito cast che, oltre a Malcolm”Arancia meccanica”McDowell nei panni del dottor Loomis, annovera nomi noti dell’exploitation su celluloide, da Danny”Machete”Trejo al Brad Dourif di Bambola assassina, passando per il Ken Foree di Zombi e l’Udo Kier di Suspiria.

Mentre Scout Taylor-Compton concede anima e corpo a Laurie Strode e Danielle Harris, cresciuta, torna per ricoprire un altro ruolo; al servizio di un’operazione che, però, finisce per eliminare il senso di mistero e inquietudine che aleggiava da sempre attorno alla figura di Michael, rendendolo molto più vicino ad un feroce e reale essere umano che alla fantasiosa creatura appartenente all’assurdo universo della celluloide che era stata fino al 2002.    

Operazione cui lo stesso Zombie fornisce due anni più tardi la pasticciata continuazione Halloween II, finendo per rivisitare in maniera eccessivamente personale caratteristiche e personaggi della storica serie; a partire da una Laurie trasformata in scatenata pseudo-ribelle in salsa hard rock e da un sempre più ridicolo dottor Loomis che se ne va in giro in limousine, impegnato tra seminari e interventi televisivi riguardanti il serial killer immortale, quando non si mette a snocciolare commenti sul petrolio che alimenta il sogno americano.

E, man mano che, sulla falsariga del Jason Voorhees di Venerdì 13, l’immortale Myers ha stavolta anche visioni della madre defunta che gli parla, perfino la consueta mattanza si riduce ad una lunga sequela di tutt’altro che fantasiosi delitti consumati quasi sempre al buio, fuori campo o immortalati da una macchina da presa impazzita che impedisce allo spettatore di capire cosa stia effettivamente accadendo all’interno dello schermo.

D’altra parte, proprio in tempi recenti pare che John Carpenter, a proposito di Zombie abbia dichiarato in un discorso presso la New York Film Academy: “Ha mentito su di me. Disse che fui molto freddo con lui quando mi disse che stava facendo il remake. Niente di più lontano dalla verità. In realtà gli dissi ‘Fai il tuo film amico. Adesso è roba tua. Non preoccuparti di me’. Ho sostenuto molto la cosa. Perché quel pezzo di merda abbia mentito è una cosa che sa solo lui. Ha tolto tutto il misticismo della vicenda andando a scavare troppo nel passato di Michael Myers. A me non interessava. Quel personaggio è una forza della natura, ai limiti del sovrannaturale, poi era troppo grosso, non era normale”.

Una posizione che i veri fan halloweeniani non possono davvero fare a meno di appoggiare... nell’attesa che venga realizzato il tanto discusso ma mai partito terzo lungometraggio del nuovo corso, che, comunque, ignorerà quanto portato in scena dai due lavori zombiani.