50 sfumature di Red...Sparrow

Il nuovo thriller di Francis Lawrence è l'emblema di un detto molto famoso nel mondo del cinema, ovvero: “E' possibile fare un brutto film da una buona sceneggiatura, ma è impossibile farne uno buono da una brutta sceneggiatura”.
Ed è un vero peccato perché le carte in regola per diventare un titolone della stagione c'erano tutte: dal cast stellare composto da Jennifer Lawrence, Joel Edgerton, Matthias Schoenaerts, Joely Richardson, Jeremy Irons, Ciarán Hinds, Bill Camp, Marie-Louise Parker e Charlotte Rampling, alle numerose location che spaziano da Mosca a Budapest, da Vienna a Londra, fino all'aura torbida e alla fredda atmosfera da classico thriller USA vs. Russia.

Tratto dal romanzo di Jason Matthews, ex agente della CIA, il film appare stilisticamente ineccepibile ma ha troppe, davvero troppe falle nella sceneggiatura. Un omicidio, ad esempio, rimane congelato nel tempo senza spiegazioni, con le vittime finite nel dimenticatoio e mai più prese in considerazione. Un altro è alla base delle intere due ore e venti di film ma se  Jennifer Lawrence interpreta inizialmente una testimone scomoda, siamo ben lontani da validi predecessori come Witness – Il testimone, e se successivamente diventa una spia, siamo allora ancora più lontani da film come Nikita, Salt, Gioco di donna o Atomica bionda, per citarne alcuni. Si accenna ad un satellite in un unico, breve dialogo, poi il nulla cosmico, per rimanere in tema. Molti personaggi restano sbiaditi e la narrazione in toto risulta sfilacciata, confusionaria ed approssimativa come se, da un certo punto in poi, si fosse attorcigliata su se stessa senza mai prendere una strada definita e definitiva.

Si presenta come un film d'azione ma l'elemento del torbido ha il sopravvento in numerose scene, alcune decisamente lascive, tanto che i protagonisti di 50 sfumature di rosso, con i loro giochetti erotici tra marito e moglie, sembrano quasi più ordinari.

Non funziona, decisamente. Non funziona la base narrativa e non funziona la durata, ben due ore e venti in cui più sottotrame si accavallano rendendo la narrazione farraginosa e prolissa. Non funziona neanche il montaggio, a dirla tutta, visti un paio di stacchi alquanto approssimativi.
Potrebbe essere un film da weekend con tante colluttazioni e un mega barattolo di pop corn ma anche le scazzottate sono più impressionanti che adrenaliniche, vista la presenza di lame e sangue a iosa.

I due mostri sacri del cast, Charlotte Rampling e Jeremy Irons, sono relegati al ruolo lei di direttrice di quella che Jennifer Lawrence definisce “una scuola per puttane”, dove l'attrice britannica sembra tornare all'atmosfera sessualmente deviata di Portiere di notte, e lui di generale freddo e calcolatore dal ruolo chiave mai delineato a fondo come avrebbe meritato. La stessa Lawrence, premio Oscar per Il lato positivo, risulta monoespressiva perché tarpata da un ruolo a sua volta monotematico, che sembra spegnerne ogni entusiasmo recitativo. La madre della protagonista, infine, interpretata da Joely Richardson, rimane sullo sfondo, vittima e carnefice inconsapevole del destino beffardo che ha colpito la figlia.

Il tema dell'inganno si ritorce contro se stesso, sdoppiandosi e perdendosi nella bruma che avvolge l'intera narrazione.

Ingarbugliato e superficiale.